Una valutazione fatta di luci e ombre

Eurostat diffonde periodicamente una serie di dati legati al “Quadro di valutazione sociale” dei paesi appartenenti all’Unione Europea, allo scopo di monitorare il progresso sociale.

In una quindicina di grafici riassuntivi è possibile comprendere la situazione dei vari stati, e ovviamente anche dell’Italia, su altrettanti importanti indicatori, sia in rapporto con la media Ue sia seguendone l’andamento negli ultimi anni.

Il quadro di valutazione è strutturato attorno ai tre capitoli: pari opportunità, condizioni di lavoro eque, protezione sociale e inclusione. Sia gli indicatori principali sia quelli secondari sono disponibili per una comprensione più approfondita di questi settori.

L’impressione complessiva è che il nostro Paese non se la passi bene. Prendiamo in esame qualche dato.

I redditi

Quello che viene chiamato tecnicamente il reddito disponibile reale lordo delle famiglie nel 2023, l’anno di riferimento dei dati, è diminuito di oltre sei punti rispetto a quello del 2008, prima della grande crisi, il cui livello è considerato quello di riferimento pari a 100. Il forte calo ha caratterizzato gli anni dal 2008 al 2013, allorquando si toccò il minimo di 89 punti, cui ha fatto seguito un lento progresso filo all’attuale indice posto a 94.

Il parallelo con la media UE e con altre nazioni è però impietoso: la media dei 27 si colloca infatti a 110, oltre 16 punti in più. Dunque, le condizioni economiche delle famiglie sono poco allegre e da 2021 sono in peggioramento di due punti, quando l’indice era a 96. Peggio di noi ha fatto solo la Grecia, mentre Germania e Francia stanno decisamente meglio.

È importante porre in risalto un ulteriore fattore penalizzante le famiglie, l’incremento dei prezzi, che incide ulteriormente sul tenore di vita delle famiglie.

Il lavoro

L’immagine proposta da Eurostat mostra un mercato del lavoro più dinamico e sagnala un miglioramento nel rischio di povertà per chi ha un impiego. L’aumento della domanda insieme alla difficoltà per molte imprese di coprire il fabbisogno di personale, sono probabilmente le ragioni che ha spinto in basso il rischio di povertà tra le persone che lavorano. Nel 2023 è sceso al 9,9%, contro l’11,5% di qualche anno prima: tale dato misura le persone che, pur lavorando, spesso con un part time o con contratti precari, hanno un reddito inferiore al 60% del reddito medio e sono considerati sotto la soglia della povertà. Va sottolineato, però, come la riduzione della disoccupazione, soprattutto di quella di lunga durata, deve fare i conti con bassi salari e precarietà, accettati per entrare comunque nel mercato del lavoro.

In ogni caso le cifre sull’occupazione restano al di sotto della media Ue. Il tasso di occupazione tra i cittadini con età tra i 20 e i 64 anni in Italia sale dal 2022 al 2023 di 1,5 punti, arrivando al 66,3%, ma nonostante una crescita doppia rispetto alla media Ue (0,7 punti) il recupero non basta: il nostro Paese resta ultimo in classifica, distante dagli altri in particolare per quanto cernerne l’occupazione femminile.

La situazione per donne e giovani

Questa ultima considerazione merita di essere approfondita. La differenza del tasso di occupazione maschile e femminile in Italia è sostanzialmente uguale da una decina d’anni: era a 19,2 nel 2013 e ora è a 19,5, contro una media europea del 10,2. Inoltre il tasso di disoccupazione è molto più basso per gli uomini, collocandosi al 6,8%, a un solo punto dalla media Ue, ma molto più alto per le donne: 8,8% contro il 6,4% europeo.

La situazione è simile considerando i dati riferiti alle giovani generazioni. Il tasso di disoccupazione è al 22,7%, inferiore di un punto rispetto al 2022, ma sempre il peggiore in Europa, anche dietro Spagna e Grecia. Per i giovani uomini è calato leggermente più in fretta che per le donne ed è al 21,1%, mentre per le giovani è al 25,2%. La media europea, per contro, cambia poco in base al genere e favorisce le donne: 14% di disoccupazione femminile, 14,9% di disoccupazione maschile.

L’istruzione

Segnali positivi anche da questo versante, poiché la percentuale degli abbandoni scolastici continua a seguire una tendenza positiva, iniziato nei primi anni degli anni 10 del secolo, attestandosi ora a 10,5% (contro il 17% del 2012), vicino alla media europea che si colloca al 9,5%. Buono anche il dato sui laureati che ha raggiunto nel 2013 la percentuale del 29,2% tra le persone che hanno un’età compresa tra i 30 e i 34 anni, pur restando ben lontano dalla media europea che si attesta al 43,9%.

Buone notizie anche sul fronte dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, calato al 16,1% dopo aver toccato il massimo (26%) nel 2013, ma anche in questo caso con una certa distanza dalla media Ue attestata all’11,2%.

Meno confortante l’informazione sulle competenze digitali, così importanti nella società attuale, in quanto quelle di base o superiori per la popolazione compresa tra i 16 e i 74 anni è inferiore alla media Ue di circa 10 punti: vale a dire che in Europa le possiedono il 55,6%, mentre il Italia siamo al 45,8%, e mentre in Ue il dato nei tre anni di misurazione è cresciuto di quasi due punti da noi è rimasto pressoché stabile con un incremento dello 0,2%.