Extraprofitti, inflazione e bassi salari: chi ride e chi piange

Tutti stiamo sperimentando nelle nostre tasche l’inflazione. Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’aumento dei prezzi in Europa è dovuto quasi per metà (45%) all’aumento dei profitti delle aziende; la presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, è arrivata a temere il rischio di una greedflation, ovvero una “inflazione da avidità”, vale a dire il tentativo di alcune imprese di trarre da essa vantaggi economici, aumentando in maniera opportunistica i prezzi ben oltre l’incremento dei costi di produzione a scapito dei consumatori, con la scusa, appunto, dell’inflazione.

A confermare e supportare con i dati tali considerazioni è un’analisi, realizzata da Oxfam e ActionAid, che ha esaminato 722 compagnie della classifica “Global 2000” di Forbes, calcolandone gli extraprofitti realizzati nello scorso biennio.

In sintesi

Nel 2022 un miliardo di lavoratori di 50 paesi hanno subito una concreta perdita negli stipendi di 746 miliardi di dollari e, in più, i prezzi medi dei prodotti alimentari sono cresciuti del 14%, contribuendo a portare alla fame 250 milioni di persone.

Nello stesso periodo, e nel 2021, le più grandi imprese del mondo hanno realizzato quasi 1.000 miliardi di extraprofitti all’anno.

Mentre i prezzi salivano, insieme ai tassi di interesse, con importanti conseguenze sul costo della vita di miliardi di persone, pochi arricchivano alle spalle dei tanti.

I dati economici

L’indagine entra nel concreto con i numeri. Le 45 società energetiche esaminate hanno realizzato, nel biennio considerato, una media di 237 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti. Ci sono 96 miliardari che hanno costruito le loro fortune sui combustibili fossili e possiedono un patrimonio di circa 430 miliardi di dollari, con un incremento di 50 rispetto all’anno precedente.

Le 18 principali multinazionali del settore alimentare hanno realizzato più entrate per oltre 14 miliardi e i 42 più importanti rivenditori, come le catene di supermercati, hanno fatto registrare utili in eccesso per 28 miliardi di dollari; nel comparto farmaceutico 28 grandi imprese hanno totalizzato extraprofitti per 47 miliardi di dollari all’anno. Più modesti, si fa per dire, i guadagni in più delle nove principali società del settore difesa e aerospazio che si sono dovute accontentare di otto miliardi di dollari all’anno.

Gli stipendi

Secondo le stime di Oxfam e ActionAid nel 2022 un miliardo di lavoratori nei 50 stati considerati hanno subito un calo medio del salario reale di 685 dollari all’anno. In quattro paesi, India, Regno Unito, Stati Uniti d’America e Sud Africa le retribuzioni dei lavoratori sono scese del 3% mentre quelle dei loro amministratori delegati sono cresciute del 9%.

Il Italia le stesse stime parlano di una caduta degli stipendi reali pari al 7,6%.

Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale e lotta alle disuguaglianze di Oxfam Italia, ha così commentato: «le imprese più grandi, in non pochi settori, beneficiando di situazioni di monopolio e dell’aumento della domanda, hanno visto un considerevole aumento dei margini. È innegabile che i profitti siano oggi i veri vincitori nel conflitto distributivo, mentre i salari – che cambiano meno in fretta dei prezzi, riflettendo i ritardi nei rinnovi e la debolezza contrattuale dei lavoratori – sono tra i perdenti. L’esito è profondamente iniquo con una sola categoria, i lavoratori, lasciata a sostenere il peso della crisi del caro-prezzi. – Ed è anche profondamente inefficiente, visto che i salari alimentano la domanda di beni e servizi delle stesse imprese».

La proposta: tassare gli extraprofitti

Se questa è la situazione Oxfam e ActionAid chiedono ai governi di introdurre con urgenza un’imposta su tali guadagni iniqui o di estenderla, se presente in alcuni settori, a tutti i comparti economici. «Per le sole 722 imprese analizzate, un’imposta ad aliquota tra il 50% e il 90% potrebbe portare nelle casse pubbliche tra 543 e 978 miliardi di dollari per il 2021 e tra 430 e 774 miliardi di dollari per il 2022».

Tali risorse potrebbero essere impiegate in due direzioni. Nei paesi ricchi per aiutare le fasce più in difficoltà ad affrontare i rincari dei prodotti alimentari e dell’energia, in quelli in via di sviluppo per sostenere interventi in servizi di particolare importanza, quali la sanità, e per fronteggiare gli impatti della crisi climatica.

Più nel dettaglio le indicazioni propongono tre tipi di interventi. Il primo riguarda il finanziamento con 400 miliardi di dollari del Fondo per le Perdite e i Danni causati dal cambiamento climatico, istituito dalla COP27, considerando che gli stati coinvolti dal fenomeno, con redditi bassi e medi, si stima dovrebbero affrontare costi fino a 580 miliardi all’anno a causa degli eventi climatici estremi. Il secondo concerne il sostegno agli stessi paesi perché possano garantire protezione sociale e assistenza sanitaria a oltre tre miliardi e mezzo di persone; mentre il terzo mira a coprire i problemi di finanziamento, calcolati in quasi 150 miliardi di dollari, che impediscono di sostenere un accesso universale all’istruzione. Tali risorse consentirebbero «l’assunzione di milioni di nuovi insegnanti, infermieri e operatori sanitari in tutto il Sud del mondo».

Semplicemente una questione di giustizia

La conclusione dell’indagine è perentoria: «Quando è troppo è troppo. I governi non devono consentire alle grandi corporation e ai super ricchi di trarre profitto dalla sofferenza delle persone». Si tratta anche di scoraggiare comportamenti opportunistici in una fase di così vasta crisi.

Al centro deve essere posto il bene comune e non l’interesse di pochi privilegiati, per tale ragione è ragionevole la tassazione degli extraprofitti come scelta politica rivolta proprio a questo, e, nel concreto, ad aiutare le popolazioni delle zone più in difficoltà: «misura di gran lunga più efficace rispetto all’elargizione di prestiti ai Paesi poveri, oggi soggiogati da debiti insostenibili».

La Costituzione italiana

L’articolo 41 recita così: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

La nostra bella Carta, in sostanza, unisce la dimensione economica, della produzione e del mercato con quella sociale, della persona e dell’ambiente, al contrario di come agisce il liberismo esasperato, per il quale l’unico metro è il profitto.

La politica, che governa e promulga le leggi, dovrebbe intervenire sulle degenerazioni, come quella descritta dall’indagine; sta ai cittadini pretenderlo, anche perché è una questione che riguarda tutti: questo sistema economico, se lasciato senza limiti dalla politica, sta producendo danni sociali e ambientali forse irreversibili.