Rapporto OXFAM 2023

«Nel biennio pandemico ‘20-‘21 l’1% più ricco ha visto crescere il valore dei propri patrimoni di 26.000 miliardi di dollari, in termini reali, accaparrandosi il 63% dell’incremento complessivo della ricchezza netta globale (42.000 miliardi di dollari), quasi il doppio della quota (37%) andata al 99% più povero della popolazione mondiale.

Battuto dunque il record dell’intero decennio 2012-2021, in cui il top-1% aveva beneficiato di poco più della metà (il 54%) dell’incremento della ricchezza planetaria. Per la prima volta in 25 anni aumentano inoltre simultaneamente estrema ricchezza ed estrema povertà».

Così è sintetizzabile il Rapporto Oxfam 2023, dal titolo La disuguaglianza non conosce crisi, diffuso, come da tradizione, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos.

Il mondo sta vivendo una serie di crisi, pandemia, problemi energetici, inflazione e recessione, che si sono innestati su divari sociali ed economici oramai strutturali e di lungo periodo, esasperando le disuguaglianze esistenti.

La gente comune fa fatica ad arrivare a fine mese, e aumenta il numero delle famiglie in povertà, in particolare a causa della crisi pandemica che ha portato, tra l’altro, un’impennata dell’inflazione e un incremento dei prezzi dell’energia, crisi che non tocca chi è al vertice della piramide economica.

Energia e cibo

 Nel 2022 le 95 aziende alimentari e dell’energia tra le più grandi al mondo hanno più che raddoppiato i profitti rispetto alla media del quadriennio 2018/2021, versando 257 miliardi di dollari, vale a dire l’84% degli extraprofitti realizzati, ai ricchi azionisti: «È il caso della dinastia Walton, proprietaria di metà della Walmart, che ha ricevuto dividendi per 8,5 miliardi di dollari nell’ultimo anno; o del miliardario indiano Gautam Adani, azionista di riferimento in molte grandi compagnie energetiche, che in soli sette mesi ha visto la propria ricchezza aumentare di 42 miliardi di dollari (+46%)».

Tutto ciò mentre tali profitti, derivati dagli aumenti, in massima parte ingiustificati e dettati da interessi speculativi, hanno inciso pesantemente sulle tasche dei cittadini e contribuito all’aumento dell’inflazione.

Inflazione, povertà e fame

Allo stesso tempo almeno un miliardo e 700 milioni di persone vivono in paesi nei quali l’aumento del costo della vita supera la crescita dei salari, e oltre 820 milioni soffrono la fame: più di una su dieci e il 60% è rappresentato da donne e ragazze.

L’aumento dei prezzi dei generi alimentari, infatti, ha gravi ripercussioni per le persone in povertà, poiché spendono mediamente i due terzi delle loro risorse per il cibo, e i dati raccolti da Oxfam mostrano come in alcuni paesi a basso reddito tale incremento è stato superiore a quello fatto registrare da altre nazioni: Etiopia +44% e Somalia +15%, contro una media globale del 9%.

Secondo la Banca Mondiale i dati dimostrano che nel mondo si sta manifestando il più grande aumento delle disuguaglianze dal secondo dopoguerra, poiché per la prima volta dopo 25 anni è in crescita l’incidenza della povertà estrema. Alcune nazioni rischiano la bancarotta e i paesi più poveri spendono oggi quattro volte le risorse destinate alla sanità per rimborsare i debiti accumulati. Inoltre circa il 75% degli stati, quasi 150, stanno pianificando tagli alla spesa pubblica per 7.800 miliardi di dollari riguardanti istruzione e sanità.

Ricchezza per pochi

Negli ultimi dieci anni i miliardari hanno raddoppiato i loro patrimoni; per ogni 100 dollari di incremento della ricchezza netta 54,40 sono andati a riempire i portafogli dell’1% piò ricco e 70 centesimi sono finiti nelle tasche del 50% più povero.

La pandemia ha avuto l’effetto di acuire ancora di più il divario. Secondo la Banca Mondiale nel 2020, il primo anno di Covid, le perdite di reddito del 40% più povero dell’umanità sono state il doppio di quelle registrate dal 40% più ricco.

Le fortune dei miliardari hanno raggiunto un picco nel 2021 per poi diminuire fino all’ottobre 2022, ma in ogni caso il loro valore è superiore a quello precedente la pandemia, e negli ultimi mesi è nuovamente in crescita.

L’1% più ricco detiene oggi il 45,6% della ricchezza mondiale, mentre la metà più povera appena lo 0,75%; solo i primi 81 miliardari detengono più ricchezza di metà della popolazione mondiale.

«Disuguitalia»

Le ultime stime disponibili per il nostro paese, riguardanti il 2021, mostrano una distribuzione della ricchezza estremamente squilibrata: il 20% più ricco ne possiede il 68,6%, il successivo 20% può contare sul 17,5%, mentre il restante 60% si divide il resto, il 13,9%. «La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco (che deteneva a fine 2021 il 23,3% della ricchezza nazionale) valeva oltre 40 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana».

Tra il 2020 e il 2021 la quota della ricchezza detenuta dal 20% più povero è salita di un irrisorio 0,08%, quella del 10% più ricco è aumentata dell’1,3%, a fronte di una diminuzione generalizzata del resto della popolazione.

La famosa lista Forbes dei più ricchi al mondo mostra in Italia un aumento di 14 unità, passando da 36 a 50, con un valore dei loro patrimoni calcolato in 157 miliardi di dollari a novembre 2022, cresciuto, malgrado le altalenanti dinamiche finanziarie, di quasi 13 miliardi nel biennio 2021-2022 (+8,8%).

L’indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia conferma la situazione di estrema disuguaglianza: metà del patrimonio complessivo è a disposizione del 7% delle famiglie più ricche e solo l’8% è appannaggio della metà più povera. E i trend sono sempre più divergenti.

Nel nostro paese una persona su cinque, nel biennio 2021-2022, è risultata a rischio di povertà, disponendo di un reddito inferiore al 60% di quello medio; l’indicatore che tiene conto di condizioni problematiche riferite al reddito, alla deprivazione materiale e a incertezze lavorative indica il coinvolgimento del 25,4% delle famiglie, pari a circa 15 milioni di persone.

Nel 2021 la povertà assoluta ha riguardato il 9,4% dei residenti, circa milioni e mezzo di persone, un numero tre volte superiore a quello che si registrava nel 2005, colpendo soprattutto i minori (passati dal 3,9% nel 2005 al 14,2% del 2021), e i giovani dai 18 ai 34 anni (dal3,1% all’11,1%).

I problemi strutturali del mercato del lavoro

Nel nostro paese queste questioni hanno radici profonde e diversificate: «l’arretramento economico pluridecennale del Paese, i crescenti divari territoriali e di genere, il ritardo nei livelli di istruzione e un accentuato sottoutilizzo del capitale umano da parte del sistema produttivo, il crescente ricorso a forme di lavoro non standard da parte delle imprese, i bassi livelli retributivi. Il susseguirsi di episodi di crisi, da quella finanziaria del 2008 alla crisi da COVID-19, ha ulteriormente esacerbato il quadro d’insieme, producendo un progressivo peggioramento della quantità e qualità del lavoro in Italia».

La ripresa occupazionale registrata nell’ultimo periodo è un dato rassicurante, ma cresce anche il ricorso a forme di lavoro atipico e precario, nonché alla riduzione dell’orario di lavoro: tra il 2009 e il 2021 il lavoro standard si è ridotto dell’8%, mentre quello atipico è aumentato del 34%. Alcuni dati relativi al terzo trimestre del 2022 confermano tale andamento con dati preoccupanti: quasi un contratto su dieci dura un solo giorno e quasi uno su cinque dura fino a una settimana, con punte del 62,9% di contratti giornalieri nel settore dell’informazione e della comunicazione!

«Il lavoro atipico – introdotto come strumento volto a garantire maggiore flessibilità nell’organizzazione del lavoro sia per le imprese che per i lavoratori – non ha in altre parole rappresentato, nel contesto italiano, un trampolino verso un lavoro stabile, ma si è piuttosto configurato come una vera e propria “trappola della precarietà”».

L’adeguamento delle retribuzioni è un’altra problematica seria. A fine settembre 2022 il 50,7% dei dipendenti privati erano in attesa del rinnovo del proprio contratto nazionale. La caduta dei salari reali nei primi nove mesi del medesimo anno ha raggiunto il 6,6%. In generale si assiste a una crescita di lavori a bassa retribuzione e a una diminuzione di quelli a stipendio elevato, insieme all’acuirsi del fenomeno delle disuguagliane retributive.

Cause e risposte

Le disuguaglianze sono una minaccia per le società e il futuro del mondo.

Le disuguaglianze e il peggioramento per molti della situazione economica non sono casuali e neppure ineluttabili. Sono il risultato di un sistema economico e finanziario malato, «che uccide» per usare un’espressione di papa Francesco, e di precise scelte politiche che hanno provocato profondi mutamenti nella distribuzione di risorse e potere, dotazioni e opportunità.

I governi, in primis quelli italiano, dovrebbero adottare politiche strutturali tese a ridurre le disparità, ridistribuire la ricchezza, affrontare i forti condizionamenti dell’economia e della finanza, rilanciare il senso della democrazia come potere, sovranità per citare la Costituzione, del popolo. Tutto ciò per provocare cambiamenti significativi verso un fisco più equo, un lavoro dignitoso per tutti, un welfare che sia in grado di contrastare la povertà.

Andrebbero affrontate le cause profonde della vulnerabilità italiana ai costi dell’energia, come un’economia basata su un modello di sviluppo che necessita di un’elevata quantità di energia, investimenti ridotti per le energie rinnovabili, la dipendenza dalle forniture russe e mediorientali. A tali fattori si aggiunge la difficoltà delle autorità pubbliche a intervenire per limitare le distorsioni e le speculazioni provocate dai pochi grandi attori del settore che hanno una forte influenza nella determinazione dei prezzi, allo scopo di proteggere le economie, imprenditoriali e familiari, attraverso una regolamentazione del mercato ed efficaci politiche industriali nei settori dell’energia.