Il rapporto Amnesty International 2021-2022: una ripresa attenta ai diritti

«Nel 2021, slogan patinati del tipo “ricostruiremo un mondo migliore” sono diventati un mantra. Sono state anche ventilate belle promesse: promesse di un “reset globale” dell’economia; di una “comune agenda” mondiale per arginare gli abusi delle multinazionali, di una ripresa sostenibile a livello ambientale, di una solidarietà globale per creare un grande cambiamento. Ma gli slogan lasciano il tempo che trovano, le promesse non sono state mantenute e sempre più persone sono state abbandonate a loro stesse, in più luoghi e con maggiore frequenza».

Così si apre sul sito di Amnesty International Italia la presentazione dell’ultimo Rapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo.

L’analisi esplora tre questioni che sono apparse le più significative dalla ricerca condotta nel 2021 su 154 paesi: salute e disuguaglianze, spazio civico, il respingimento di rifugiati e migranti dal nord del mondo.

Salute e disuguaglianze

I vaccini hanno offerto la speranza di vedere più vicina la fine della pandemia, molti governi hanno annunciato il loro impegno a sostenere una copertura vaccinale globale, il G7 e il G20 hanno assunto impegni rilevanti per questo obiettivo. Tuttavia, nonostante gli sforzi di alcune nazioni del sud del mondo la cooperazione internazionale è in larga parte fallita.

I paesi ricchi hanno accantonato milioni di dosi in più di quante necessarie.

Mentre l’Unione europea aveva un tasso di vaccinazione di oltre il 70%, molti paesi del sud del mondo erano ancora in attesa di somministrare la prima dose; alla fine del 2021 era stato vaccinato con doppia dose meno dell’otto per cento degli 1,2 miliardi di abitanti dell’Africa, il tasso di vaccinazione più basso di qualsiasi altro continente, e ben lontano dall’obiettivo indicato dall’Oms di vaccinare il 40% della popolazione globale entro la fine del 2021.

Alcuni paesi ricchi hanno inoltre sistematicamente bloccato i tentativi di aumentare la produzione di vaccini, rifiutando di sostenere la temporanea sospensione dei diritti di proprietà intellettuale. Le aziende farmaceutiche, da parte loro, hanno dato priorità alla fornitura di vaccini ai paesi ad alto reddito, hanno monopolizzato la proprietà intellettuale e bloccato i trasferimenti di tecnologia, esercitando forti pressioni contro le misure che avrebbero ampliato la loro produzione. Tutto ciò nonostante la maggior parte di queste compagnie avesse beneficiato di miliardi di dollari di fondi pubblici e tratto nel frattempo esorbitanti profitti dalla pandemia.

I programmi nazionali di vaccinazione hanno presentato situazioni alquanto differenti. Alcuni servizi sanitari nazionali sono riusciti a realizzare con successo programmi di vaccinazione grazie ad approcci scientifici, campagne d’informazione e operatori medici dedicati, mentre altri piani vaccinali sono stati caratterizzati da mancanza di trasparenza e comunicazione, condizionati dalla corruzione. Altri non hanno dato priorità o hanno attivamente escluso i molti che si trovavano in situazioni di vulnerabilità, come ad esempio migranti e rifugiati, sfollati, comunità rurali e native, detenuti, senzatetto e altre persone prive di documenti, così come altri gruppi storicamente discriminati.

Forse mai come in questo periodo il diritto alla salute o quelli che da essa dipendono sono stati a rischio. Si è persa l’opportunità di utilizzare gli enormi investimenti e i progressi nella ricerca medica per migliorare il livello dei servizi. I governi non hanno saputo invertire la rotta rispetto al diffuso stato di trascuratezza e finanziamenti insufficienti di tali servizi o affrontare il limitato e iniquo accesso all’assistenza medica. Questi i due principali motivi della crisi che ha investito i sistemi sanitari che si sono trovati ad affrontare la doppia sfida di rispondere alla pandemia e di erogare i servizi sanitari ordinari.

La pandemia ha avuto in molti paesi un impatto devastante su altri diritti economici e sociali, finendo con l’intrappolare centinaia di milioni di persone in una situazione di povertà estrema.

Il 2021 è stato anche contrassegnato da alcune opportunità che i governi potrebbero cogliere allo scopo di gettare le basi per la realizzazione di una concreta responsabilità sociale delle imprese e di risposte efficaci a pandemie future, sempre se sapranno porre i diritti umani al centro di questi sforzi. L’Assemblea mondiale della sanità ha concordato lo scorso dicembre di avviare un processo per elaborare uno strumento internazionale in grado di rafforzare la prevenzione e la risposta alla pandemia, sebbene mancasse ancora un riferimento specifico al tema dei diritti umani. Qualsiasi trattato che scaturirà da tale iniziativa avrà soltanto un impatto limitato, a meno di non essere accompagnato da una riforma completa delle norme generali in materia sanitaria e da un cambiamento nell’impegno dei governi all’interno di queste istituzioni.

Inoltre, dopo decenni di fallimentari tentativi, i governi del G20 hanno stretto un accordo per realizzare alcune riforme del sistema di tassazione globale. Queste, benché ancora imperfette e non sufficienti, rappresentano comunque un passo avanti nella giusta direzione per tentare di risolvere una delle più spinose e dannose questioni, ovvero l’evasione e l’aggressiva elusione fiscale delle società multinazionali.

Spazio civico

«Invece che fornire uno spazio per la discussione e il dibattito su come affrontare al meglio le sfide del 2021, la continua tendenza dei governi è stata di reprimere le voci indipendenti e critiche, con alcuni che hanno perfino utilizzato la pandemia come pretesto per ridurre ulteriormente lo spazio civico. Durante l’anno, molti governi hanno intensificato i loro sforzi tentando di imporre e/o implementare misure repressive per prendere di mira coloro che li criticavano, molte di queste misure erano apparentemente volte a frenare la diffusione della disinformazione sul Covid-19. In Cina, Iran e in altre parti, le autorità hanno arrestato e perseguito persone che avevano criticato o contestato i piani di risposta al Covid-19. A livello mondiale, i governi hanno indebitamente impedito e disperso proteste pacifiche, in alcuni casi utilizzando il pretesto delle disposizioni per il contenimento della diffusione del Covid-19. Diversi governi, specialmente in Africa, Medio Oriente e Africa del Nord e Asia, hanno bloccato o pesantemente limitato l’accesso a Internet e ai social network».

Gli attacchi contro giornalisti, voci critiche e difensori dei diritti umani hanno fatto parte di questa ondata di violenta reazione contro la libera espressione, come pure l’introduzione di nuove normative che hanno limitato i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica. Il monitoraggio svolto da Amnesty International ha accertato che durante l’anno almeno 67 dei 154 paesi coperti dal rapporto hanno introdotto norme di questo tipo.

«I difensori dei diritti umani e le persone critiche verso i governi hanno continuato a fare sentire coraggiosamente la loro voce, nonostante gli attacchi lanciati da governi e potenti interessi economici attraverso una sempre più ampia gamma di strumenti. Questi comprendevano detenzioni arbitrarie e procedimenti penali ingiusti, azioni legali intimidatorie e prive di fondamento, restrizioni amministrative e altre minacce, fino ad arrivare anche alla violenza, incluse sparizioni forzate e tortura. Sono anche aumentate le cause legali strategiche contro la partecipazione pubblica, intentate contro i difensori dei diritti umani allo scopo di intimidirli e vessarli».

I metodi con cui le forze di sicurezza hanno reagito alle proteste sono stati in alcuni casi anche pesanti: Amnesty International ha documentato l’uso non necessario o eccessivo della forza contro i manifestanti in almeno 85 dei 154 paesi monitorati, in tutte le aree del mondo.

Respingimenti dal nord del mondo

Il 2021 è stato segnato da un susseguirsi di fughe di massa causate dalle crisi. «Gli eventi in luoghi come Afghanistan, Etiopia e Myanmar hanno determinato nuove ondate di sfollati. Migliaia di persone hanno continuato a lasciare il Venezuela e, solo nella Repubblica Democratica del Congo, nel 2021 il perdurante conflitto ha spinto 1,5 milioni di persone ad abbandonare le loro abitazioni. A livello globale, milioni di persone hanno continuato a fuggire dai loro paesi a causa delle violazioni dei diritti umani legate a situazioni di conflitto e violenza, disuguaglianza, cambiamento climatico e degrado ambientale, e le minoranze etniche sono state tra le più colpite. Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, a metà del 2021 in tutto il mondo c’erano 26,6 milioni di rifugiati e 4,4 milioni di richiedenti asilo. La maggior parte viveva da anni ospitata in campi profughi, come ad esempio in Bangladesh, Giordania, Kenya, Turchia e Uganda, dove molti rimanevano nella costante paura di essere rimandati nei paesi dai quali erano fuggiti in cerca di sicurezza».

È cresciuta complessivamente la solidarietà per i migranti, soprattutto attraverso iniziative locali, come si è visto in un sempre più ampio numero di paesi, attualmente 15, che hanno promosso progetti pilota di accoglienza e integrazione dei rifugiati. Ma tale solidarietà si è tuttavia dimostrata troppo spesso carente a livello nazionale e internazionale. Nell’opinione pubblica, specialmente nel nord del mondo, è ancora presente una certa narrazione xenofobica sulla migrazione, mentre le politiche degli stati si inasprivano: ben 12 paesi dell’UE si sono rivolti alla Commissione europea chiedendo di moderare le regole comunitarie in materia di protezione dei rifugiati. La comunità internazionale non ha provveduto a fornire un sostegno adeguato e ha limitato l’accesso ai porti sicuri.

Troppo spesso le persone in movimento sono state anche vittime di una serie di abusi come respingimenti, tortura e violenza sessuale; «molti governi si sono sottratti alle loro responsabilità di fornire protezione a rifugiati e migranti e hanno anche commesso violazioni dei diritti nel tentativo di tenerli lontani dal loro territorio e di dirottare altrove gli arrivi spontanei».

Le indicazioni di Amnesty International

Governi e istituzioni dovrebbero realizzare la ripresa dalla pandemia e la risposta alla crisi all’interno del quadro dei diritti umani, facilitando il dialogo con la società civile.

Dovrebbero approntare misure per spingere le aziende che sviluppano i vaccini contro il Covid-19 a favorire la loro diffusione; gli stati più ricchi dovrebbero redistribuire il surplus di scorte di vaccino ai paesi a basso reddito e incentivare la riduzione del debito al fine di facilitare loro la ripresa economica.

È necessario che i governi cessino di utilizzare la pandemia come pretesto per mettere a tacere l’informazione indipendente e il dibattito pubblico, rimuovendo inoltre tutte le indebite restrizioni ai diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica.

Infine, devono adempiere ai loro obblighi di tutela delle persone in cerca di protezione, rispettare e salvaguardare i loro diritti e permettere la permanenza nel proprio territorio, in condizioni accettabili, fino a quando non sia stata trovata una soluzione duratura. Dovrebbero anche sospendere i respingimenti, porre fine agli abusi, compresa la discriminazione contro i migranti, eliminare la detenzione dei migranti minorenni e approfondire le riforme per impedire gli abusi sui lavoratori.