Sanità pubblica: sull’orlo del baratro

Così si può sintetizzare l’analisi indipendente della Fondazione Gimbe, costituita dall’associazione Gruppo Italiano per La Medicina Basata sulle Evidenze, sulla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza per quanto concerne la spesa sanitaria, nell’ambito della campagna #SalviamoSSN. I numeri, infatti, non lascano dubbi, lo “stato di salute” del nostro servizio sanitario non è buono, compromesso dal calo dei finanziamenti, dall’incompiuta evoluzione dei Livelli essenziali di assistenza, da sprechi e inefficienze, dalla crescita incontrollata del privato, da un’inadeguata governance tra stato e regioni.

Un diritto da salvaguardare

È necessario sottolineare che il Servizio Sanitario Nazionale è una conquista sociale irrinunciabile e un pilastro della nostra democrazia, mentre il giudizio della Fondazione è perentorio: è «compromesso il diritto alla tutela della salute». Presentando il Rapporto presso la Sala Capitolare del Senato il presidente della Fondazione stessa ha dichiarato: “I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità sono stati traditi. Oggi sono ben altre le parole chiave che definiscono un SSN ormai al capolinea e condizionano la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche meno abbienti: interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure”.

I numeri della crisi

La considerazione generale è che negli ultimi 15 anni tutti i governi hanno sottratto risorse oppure non investito adeguatamente nella sanità.

Dal 2010 al 2019 il Fondo Sanitario Nazionale è aumentato di 8,2 miliardi di euro, crescendo mediamente dello 0,9% ogni anno, con un tasso quindi inferiore a quello dell’inflazione media, che è stata dell’1,15%. Nel biennio della crisi pandemica il Fondo è aumentato di 11,2 miliardi, assorbito degli interventi relativi al Covid. La Legge di Bilancio 2023 ha programmato un incremento per i prossimi anni, ma il rapporto tra spesa sanitaria e PIL cala dal 6,6% del 2023 al 6,2% per il 2024 e 2025, diminuendo ancora al 6,1% nel 2026. In soldi significa una crescita di poco superiore ai 4,2 miliardi per il triennio, pari all’1,1%, contro un’inflazione decisamente superiore.

La spesa sanitaria per il 2022 è stata di oltre 171 miliardi, il 6,8% del PIL, contro una media del 7,1% sia dei paesi dell’UE sia di quelli OCSE: in termini assoluti e in rapporto alla popolazione significa una differenza di quasi 49 miliardi.

I LEA e il regionalismo differenziato

L’obiettivo di aggiornare e adeguare il Livelli Essenziali di Assistenza “con proposta di esclusione di prestazioni, servizi o attività divenuti obsoleti e di inclusione di prestazioni innovative ed efficaci, al fine di mantenere allineati i LEA all’evoluzione delle conoscenze scientifiche non è mai stato raggiunto”. Le ripercussioni sono molto evidenti soprattutto nelle regioni meridionali, e le analisi confermano una “frattura strutturale” tra nord e sud del Paese: la mobilità sanitaria sta a dimostrarlo.

Il regionalismo differenziato, sottolinea la Fondazione, “non potrà che amplificare le diseguaglianze registrate già con la semplice competenza concorrente in tema di tutela della salute”, e legittimerebbe normativamente tale divario.

Le proposte GIMBE

Il Rapporto contiene anche un Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, con una serie di proposte volte all’attuazione di riforme e innovazioni per il suo rilancio.

Il punto di partenza è “mettere la salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali”, con un approccio integrato. È necessario rafforzare la capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle regioni, per ridurre disuguaglianze, iniquità e sprechi. Questi ultimi e le inefficienze sono da aggredire per reinvestire le risorse in modo proficuo.

Si tratta di programmare, organizzare e integrare i servizi sanitari e quelli sociosanitari in relazione ai bisogni delle persone e renderli disponibili in una rete che integri medicina territoriale, ospedali, assistenza sanitaria e sociale.

Indispensabile è investire sul personale con un efficace sistema di programmazione e di formazione, valorizzando e motivando chi è impegnato in questo settore di capitale importanza.

L’integrazione tra pubblico e privato è da disciplinare secondo i reali bisogni della popolazione, regolamentando allo stesso tempo la libera professione; va inoltre riordinata sul piano legislativo la sanità integrativa, “allo scopo di arginare fenomeni di privatizzazione, aumento delle diseguaglianze, derive consumistiche ed erosione di risorse pubbliche”.

L’utilizzo delle tecnologie digitali è da potenziare, diffondendo cultura e competenze tra i professionisti e i cittadini al fine di migliorare efficienza e accessibilità; così come sono da rafforzare l’informazione e la ricerca sanitaria, destinando per essa almeno il 2% delle risorse.

Ovviamente per sostenere tutto ciò è indispensabile un consistente rilancio del finanziamento della sanità per allinearlo alla media europea.

In conclusione la Fondazione ricorda che “la bussola deve rimanere sempre e comunque l’articolo 32 della Costituzione: perché se la Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti, la sanità deve essere per tutti”.