Il lavoro minorile: Non è un gioco

Dopo dieci anni dall’ultima rilevazione sul tema Save the Children Italia ha diffuso i risultati di un’indagine sul lavoro minorile dal titolo Non è un gioco, consultabile sul sito dell’organizzazione. Il fenomeno, che riguarda tutto il mondo e non risparmia il nostro Paese, mette a repentaglio i diritti fondamentali di bambine, bambini e adolescenti, la loro salute e il loro benessere psicofisico, rischia di compromettere o addirittura interrompere il percorso scolastico, formativo e di sviluppo globale, alimentando un circolo vizioso che conduce in età adulta alla povertà e all’esclusione. Il rapporto pone in particolare evidenza le connessioni con la dispersione scolastica e la relazione tra il lavoro minorile e il coinvolgimento nel circuito della giustizia minorile.

Il contesto internazionale

Sebbene la maggior parte degli stati abbiano ratificato due convenzioni che lo vietano, il fenomeno del lavoro minorile è ancora molto diffuso e non accenna a diminuire. Lo confermano i dati relativi al 2020 raccolti da ILO e Unicef (le organizzazioni ONU che si occupano di lavoro e bambini): nel mondo sono 152 milioni i minori costretti a lavorare (circa il 10%), 64 milioni di bambine e 88 di bambini, e di questi ben 73 milioni occupati in lavori pericolosi.

Molti vivono in situazioni di guerra o colpite da disastri naturali, lottando per sopravvivere, altri sono reclutati come soldati. Si tratta di una realtà inaccettabile.

La pandemia ha avuto delle ripercussioni e le stime parlano di un incremento di circa nove milioni, nello scenario migliore, e di addirittura 46 in quello peggiore.

La situazione italiana

Nel nostro paese la legge stabilisce la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 15 anni, a condizione di aver assolto l’obbligo scolastico di dieci anni: quindi in realtà l’età diventa 16 anni.

La ricerca calcola che attualmente siano 336.000 i minorenni di età compresa tra i 7 e i 15 anni che hanno avuto esperienze di lavoro, pari al 6,8% della popolazione di quell’età.

«Nella fascia d’età indagata con questo studio (14-15 anni), il 18,2% dei rispondenti ha lavorato durante l’anno precedente all’indagine, mentre l’1,8% ha affermato di non aver lavorato durante l’ultimo anno, ma di averlo fatto precedentemente, in passato. In totale, i 14-15enni che hanno lavorato prima dell’età legale consentita sono uno su cinque (il 20%)», e i due terzi sono maschi. Riguardo all’età in cui hanno iniziato a lavorare il 53% lo hanno fatto dopo i 13 anni, il 23% a 13 anni, l’11% a 12 e oltre il 10% a 11 o prima.

Le attività lavorative

Il settore prevalente è la ristorazione col 26%, seguono il commercio (16%), l’agricoltura (9%), l’edilizia (8%), il sostegno in casa per sorelle, fratelli o altri parenti (7%), e con percentuali minori mestieri come babysitter, lavori in officina, distributori di benzina e on line.

Gli impieghi sono stati trovati quasi nella metà dei casi dai genitori e per un 10% da parenti, dato che fa emergere il forte coinvolgimento familiare nel lavoro minorile, mentre più di un quarto hanno affermato di esserselo procurato da soli.

L’intensità è un altro elemento significativo. Il 28% è impegnato tutti i giorni, il 27% qualche volta nella settimana e l’8% una sola volta; altri «lavorano qualche giorno al mese (10%) o qualche mese durante l’anno (15,6%). Infine uno su dieci (10,2%) indica di lavorare/aver lavorato qualche volta durante l’anno». In merito all’orario quasi la metà è occupato per quattro o più ore, il 33% dalle due alle quattro ore e il 19% per due ore o meno, soprattutto in orari che coincidono con la frequenza scolastica, che quindi è impedita.

Le conseguenze e le motivazioni

Un problema è un percorso scolastico molto accidentato, con pesanti riflessi sull’apprendimento e la crescita, un secondo sono forti limiti per il tempo da dedicare a svago, amici, sport e riposo; un altro sono i problemi di salute.

Le ragioni che provocano il fenomeno sono da rintracciare non semplicemente nelle condizioni di povertà, in costante aumento, ma anche, più in generale, nel livello sociale, economico e culturale delle famiglie.

Come agire

Il fatto non accenna a diminuire, questo mostrano i dati. Per prevenirlo è necessario operare in molteplici direzioni e con «un approccio integrato, multidisciplinare e territoriale, che metta in connessione le istituzioni, le agenzie educative, il Terzo Settore, le organizzazioni sindacali e il mondo produttivo, con l’obiettivo di costruire valori condivisi, trovare soluzioni e implementare azioni sinergiche per raggiungere obiettivi comuni».

Ecco alcuni impegni sollecitati dall’indagine. Nominare una Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, prevedere indagini sistematiche con un’analisi dei fattori di rischio, sollecitare da parte dei comuni l’elaborazione di un Programma operativo di prevenzione e contrasto del lavoro minorile e della dispersione scolastica, introdurre piani di sostegno individuale nelle misure di contrasto della povertà, promuovere nella scuola la formazione ai diritti del lavoro e l’informazione sulle opportunità offerte per garantire il diritto allo studio, favorire politiche del lavoro che permettano di accogliere i giovani con percorsi formativi.

Quindi, in sintesi, monitorando il fenomeno, aiutando le famiglie in difficoltà, sostenendo la scuola nell’accompagnamento dei più deboli.