Luigi Einaudi: il primo presidente eletto

Il personaggio

Il prossimo anno si ricorderà il sessantesimo anniversario della scomparsa di Luigi Einaudi, eletto alla massima carica dal Parlamento per la prima volta nella storia del Paese. Infatti, Enrico De Nicola il 28 giugno del 1946 fu nominato capo dello stato provvisorio dall’Assemblea costituente fino al 31 dicembre del 1947, per poi esercitare le attribuzioni e il titolo di Presidente della Repubblica Italiana in base alla prima disposizione transitoria e finale della Costituzione, dal primo gennaio ’48, mantenendoli fino al successivo 12 maggio, cioè fino all’elezione di Einaudi, avvenuta il giorno precedente.

La biografia dal sito del Quirinale

Luigi Einaudi è nato a Carrù (Cuneo) il 24 marzo 1874.

Coniugato con Ida Pellegrini dalla quale ha avuto tre figli.

Laureato in giurisprudenza a 21 anni. È stato redattore de “La Stampa” di Torino e del “Corriere della Sera” di Milano fino al 1926. È stato corrispondente finanziario ed economico del settimanale “The Economist”.

Ha diretto la rivista “La Riforma Sociale” dal 1900 al 1935. Ha diretto la “Rivista di Storia Economica” dal 1936 al 1943.

Ha occupato la cattedra di Scienza delle finanze all’Università di Torino con l’incarico di Legislazione industriale ed economica politica di quel Politecnico, e di Scienza delle finanze all’Università Bocconi di Milano.

I suoi altissimi meriti scientifici hanno avuto ampi riconoscimenti, tra i quali si ricordano: Socio e Vice-Presidente della Accademia dei Lincei; Socio della Accademia delle Scienze di Torino; Socio dell’Institut International de Statistique de L’Aja; Socio dell’Econometric Society di Chicago; Socio onorario dell’American Academy of Arts and Sciences di Boston; Socio dell’American Academy of Political and Social Science di Filadelfia; Socio onorario della American Economic Associciation; Socio onorario della Economic History Association di New York; Presidente onorario della International Economic Association; Socio corrispondente della Societè d’Economie Politique di Parigi; Vice Presidente della Economic History Society di Cambridge; Socio corrispondente del Coben Club di Londra; Socio corrispondente della Oesterreichische Akademie der Wissenschaften di Vienna. Gli sono state conferite le lauree “honoris causa” dalle Università di Parigi e di Algeri.

È stato autore di numerosissime pubblicazioni scientifiche, soprattutto nelle materie economiche, alcune delle quali tradotte nelle principali lingue straniere.

Si è dedicato personalmente alla conduzione della sua azienda agricola presso Dogliani, applicandovi i più moderni sistemi colturali.

È stato nominato Senatore del Regno nel 1919.

Lasciata l’attività giornalistica dopo l’avvento del fascismo, dopo il 25 luglio 1943 ha collaborato a “Il Corriere della Sera”. Dopo l’8 settembre si è rifugiato in Svizzera ed è rientrato in Italia nel 1945; ha redatto una serie di articoli economici e politici per “Il Risorgimento Liberale”. È stato nominato Governatore della Banca d’Italia (5 gennaio 1945 – 11 maggio 1948).

È stato nominato componente della Consulta Nazionale (1945-1946).

È stato eletto Deputato all’Assemblea costituente nel 1946 (Unione Democratica Nazionale) ove ha dato un autorevole contributo ai lavori. È stato Senatore di diritto del Senato della Repubblica ai sensi della terza disposizione transitoria della Costituzione (1948). È stato nominato Vice Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro delle Finanze e del Tesoro (1947), del Bilancio (conservando l’incarico di Vice Presidente del Consiglio) (1947-1948, nel IV Governo De Gasperi).

È stato eletto Presidente della Repubblica l’11 maggio 1948 (al quarto scrutinio con 518 voti su 872): ha prestato giuramento il giorno successivo. È divenuto Senatore a vita quale ex Presidente della Repubblica. Tra le opere pubblicate dopo la fine del mandato presidenziale si ricorda in particolare: “Lo Scrittoio del Presidente”.

È deceduto il 30 ottobre 1961.

Il profilo di capo dello stato dal Portale storico della Presidenza della Repubblica

Esponente dell’antifascismo liberale, economista, governatore della Banca d’Italia, più volte ministro, convinto europeista, deputato all’Assemblea costituente nelle liste liberali, Einaudi fu il primo Capo dello Stato eletto dal Parlamento Repubblicano (11 maggio 1948); il primo a dover interpretare ed esercitare prerogative e funzioni disegnate dalla Carta Costituzionale, non ancora divenute prassi.

Fu Presidente discreto e competente, scrupoloso e rigoroso, attento a non sconfinare dal suo ruolo istituzionale, un Presidente di garanzia. Nel 1953, affrontò la prima grave crisi politica e istituzionale italiana (fallimento della legge elettorale maggioritaria 148\1953; scioglimento anticipato delle Camere 4 aprile 1953; ritiro dalla scena politica di De Gasperi) avvalendosi di tutti i propri poteri costituzionali ed opponendosi ad ogni indebita interferenza di partiti nelle funzioni presidenziali.

Se nei primi tre anni del mandato il Presidente della Repubblica aveva esercitato un ruolo che è stato comunemente definito “notarile”, tanto da essere chiamato il “Presidente della maggioranza” per la stretta contiguità con l’esecutivo, un cambio di passo si manifestò nel corso della II legislatura (incarico a Giuseppe Pella e governo “di amministrazione”, composto anche di tecnici. In sostanza, il primo di quelli che poi verranno definiti “governi del presidente”).

Non compì viaggi all’estero – se si esclude la visita ufficiale a Pio XII in Vaticano il 15 dicembre 1948 – perché riteneva opportuno un profilo basso di fronte ed in rappresentanza dell’Italia uscita devastata e perdente dalla guerra mondiale. Ricevette al Quirinale numerosi Capi di Stato e di Governo.

Einaudi si distinse anche per l’esercizio puntuale del controllo sulle leggi in sede di promulgazione, con riferimento all’osservanza soprattutto dell’art. 81della Costituzione sulla copertura di bilancio, inaugurando un indirizzo che sarebbe stato seguito anche dai suoi successori.

 

 

Il commento

La vita di Luigi Einaudi ci riporta a un’epoca che appare oggi lontana, per tante ragioni, essendo vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, iniziando la carriera politica già nel 1919 come senatore del Regno e concludendola a capo della nuova Repubblica.

Un vero liberale

Einaudi fu un convinto seguace del liberalismo classico; sostenne sempre le teorie liberali e la politica liberista e lottò, per mezzo della stampa e in parlamento, per la perequazione tributaria e la moralizzazione della vita parlamentare. Fu un liberale a tutto tondo, ma di un liberalismo oggi scomparso, coerente con le sue scelte e fermo nel sostenerle, come pure nel saperle modificare riflettendo sugli eventi. Paradossale, in un certo senso e a conferma di ciò, l’essere diventato presidente della Repubblica dopo aver dichiarato pubblicamente la preferenza per la monarchia alla vigilia del referendum istituzionale.

Infatti, nel suo discorso di insediamento (che riportiamo integralmente nelle “fonti”) sottolineò come, malgrado si fosse espresso in quel modo, nei due anni seguenti si impegnò nell’Assemblea costituente per fornire un sincero e significativo contributo al nascente regime repubblicano, aderendo a esso avendo constatato che il popolo italiano fosse ormai maturo per la democrazia, e la transizione tra le due forme istituzionali si fosse prodotta in modi corretti, legali e pacifici. Come presidente, naturalmente, giurò fedeltà alla Repubblica e alla più scrupolosa osservanza di tutte le sue istituzioni.

Da capo dello Stato non ebbe timore di assumere posizioni quali il rinvio alle camere di alcune leggi e si attenne sempre alle indicazioni della maggioranza nella nomina de presidente del Consiglio; salvo una volta, nel 1953, dopo il fallimento della formazione del nuovo esecutivo, allorquando Einaudi nominò un primo ministro che non aveva una maggioranza precostituita: fu il primo esempio di “governo del presidente” ripetuto alcune volte dai suoi successori per gravi problematiche politiche.

Una sobrietà forse scomparsa

Due dei caratteri distintivi della sua personalità furono la parsimonia e la morigeratezza. Una prova è contenuta in un famoso episodio raccontato da Ennio Flaiano. Invitato al Quirinale con altri esponenti del mondo della cultura, egli fece conoscere come il Presidente, al termine della cena, mentre il maggiordomo lasciava sul tavolo un enorme vassoio contenente delle enormi pere, le guardò un po’ sorpreso, poi sospirò e disse: «Io prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che vuole dividerne una con me?», perché non andasse sprecata. Tutti manifestarono un attimo di sgomento e guardarono istintivamente il maggiordomo che era diventato rosso dall’imbarazzo. Per risolvere la situazione Flaiano rispose immediatamente: «io, Presidente…». Einaudi quindi tagliò la pera in due prendendone una metà e lasciando che l’altra fosse messa su un piatto e consegnata allo scrittore. In quel frutto tagliato a metà c’erano il pragmatismo, la sobrietà e la parsimonia piemontese, l’attaccamento alle proprie origini contadine che lo distinsero per tutta la vita.

Europeista

Einaudi ebbe una visione estremamente moderna dei rapporti tra gli stati, soprattutto quelli del Continente: nel 1920, poco dopo la conclusione della Prima guerra mondiale, con le nazioni in tensione tra loro, raccolse una serie di suoi articoli pubblicati sul Corriere della Sera in un volume caratterizzato da un europeismo ante litteram, nel quale rifletteva e proponeva una struttura federale, anticipando di decenni la prospettiva che portò al percorso di realizzazione dell’UE.

Antifascista

Pochi anni dopo, malgrado condividesse alcune scelte di ispirazione liberale in campo economico fatte proprie dal fascismo, come ad esempio la privatizzazione di servizi quali il telefono e la riduzione dei contributi pubblici alle attività economiche, non condivise affatto le riforme costituzionali del regime, la legge elettorale maggioritaria ad esempio, e, dopo il delitto Matteotti, assunse una posizione decisamente contraria alla nascente dittatura, con alcune conseguenze sul piano personale: fu costretto a limitare l’attività accademica, cacciato da alcune cattedre, e ad abbandonare la collaborazione con il Corriere della Sera, troppo vicino al governo. Nel 1924 aderì all’Unione Nazionale, un partito antifascista promosso da Giovanni Amendola e l’anno dopo fu tra i sottoscrittori del Manifesto degli intellettuali antifascisti.

Imprenditore illuminato

Einaudi non fu solo un teorico dell’economia, ma si impegnò anche come imprenditore. Già nel 1897, giovane e senza mezzi, acquistò il primo podere in San Giacomo a Dogliani; le ragioni furono per una certa nostalgia del passato e delle proprie origini, ma soprattutto per la convinzione che l’agricoltura avrebbe portato il Piemonte fuori dalla crisi di quegli anni: rilanciare e far crescere il territorio delle Langhe avrebbe migliorato la vita delle persone che lo abitavano. Anche come agricoltore dette prova di ingegno e lungimiranza, utilizzando ad esempio un innovativo sistema di innesto di talee per fermare la filossera e, in generale, portando nella zona la viticoltura moderna.

Decise poi, nel 1915, di non limitarsi a vendere le uve, creando una cantina per produrre e imbottigliare il vino e iniziando ad acquistare vigneti che godevano di una particolare posizione, esposizione e qualità del terreno, per realizzare un prodotto migliore.

Un gesto importante fu l’affidare la conduzione delle terre e delle vigne a mezzadri e alle loro famiglie, perché condividessero la prosperità che contribuivano a creare: ogni podere godeva di una propria autonomia, una modalità allora rivoluzionaria di condurre le proprietà. Non si limitò solo a questo, contribuì al restauro delle cascine e mise a disposizione di chi lavorava la terra i mezzi più moderni, quali trattori, elevatori meccanici, motofalciatrici e rimorchi, per alleggerire il lavoro nei campi e facilitare i trasporti, allo scopo di migliorare le condizioni di vita dei contadini.

 

 

Le fonti

Per approfondire la vita di Luigi Einaudi sono disponibili numerosi strumenti, libri e pagine web: tra queste citiamo la voce a lui dedicata nel Dizionario Biografico dell’enciclopedia Treccani.

Luigi Einaudi è stato autore molto prolifico. La sua produzione spazia dall’economia alla politica, dalla storia alla bibliografia, così come varia è la tipologia dei suoi testi: dal libro monografico all’articolo di giornale, dal saggio scientifico alla recensione.

Tra le opere si ricordano: Studi sugli effetti delle imposte (1902); La finanza sabauda all’aprirsi del secXVIII (1908); Intorno al concetto di reddito imponibile (1912); La terra e l’imposta (1924); Principi di scienza delle finanze (1932, 4a ed. 1948); La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana (1933); Il sistema tributario italiano (1935, 4a ed. 1939); Saggi sul risparmio e l’imposta (1941); Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche (1953); Il buongoverno (1954); Lo scrittoio del presidente (1956); Cronache economiche e politiche di un trentennio: 1893-1925 (8 voll., 1959-65, raccolta di articoli).

 

Come tradizione riportiamo alcune citazioni del nostro personaggio.

«Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. E’ la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi.»

«Giustizia non esiste là ove non vi è libertà.»

«Amante del paradosso è colui il quale ricerca e scopre la verità esponendola in modo da irritare l’opinione comune, costringendola a riflettere ed a vergognarsi di se stessa e della supina inconsapevole accettazione di errori volgari.»

«Gli italiani troppo a lungo pensarono e molti pensano ancor ora che basti importare l’industria nel mezzogiorno per innalzare gli abitanti ad un livello più alto di felicità e di benessere.»

«La classe politica non si forma se l’eletto ad amministrare le cose municipali o provinciali o regionali non è pienamente responsabile per l’opera propria.»

«Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare.»

«Le imposte devono essere poche, semplici, senza addizionali, senza imbrogli.»

«L’impero della legge come condizione per l’anarchia degli spiriti.»

«Il denaro dei contribuenti deve essere sacro.»

«Non le lotte o le discussioni devono impaurire, ma la concordia ignava e l’unanimità dei consensi.»

«Garantire la persona umana contro l’onnipotenza dello Stato e la prepotenza dei privati.»

«Quando la politica entra nella giustizia, la giustizia esce dalla finestra.»

«L’azione va incontro all’insuccesso anche perché non di rado le conoscenze radunate con fervore di zelo non erano guidate da un filo conduttore. Non conosce chi cerca, bensì colui che sa cercare.»