Il Rapporto Rota 2020: ripartire è possibile

Il fatto

Sabato 28 novembre il Centro Einaudi ha presentato e diffuso il Rapporto “Giorgio Rota” per il 2020. Si tratta della ventunesima edizione di un lavoro che fotografa la situazione del capoluogo piemontese e fornisce indicazioni per il suo futuro.

Il titolo è significativo, Ripartire, e in tema scelto è l’attrattività come fattore competitivo dell’area torinese e come prospettiva con la quale affrontare l’emergenza dovuta al Covid-19 e come indicazioni importanti in vista delle prossime elezioni amministrative.

Il quadro emergente è di una città che da anni si trascina e non è in grado di affrontare una serie di problematiche, con una classe dirigente, non solo politica, che fatica a trovare un progetto e soluzioni in grado di rispondere alla situazione.

Il Rapporto focalizza la sua attenzione in merito all’attrattività su quattro aspetti: popolazione, imprese, università e turismo, con un capitolo conclusivo dedicato alla sanità. Il focus è sul capoluogo piemontese, ma i dati sono sempre confrontati con quelli delle altre aree urbane del Paese.

Presentiamo di seguito una sintetica illustrazione dei principali contenuti del Rapporto e un’intervista al suo coordinatore.

Popolazione

Dal punto di vista demografico l’ultimo quinquennio ha visto diminuire «la capacità di Torino di attrarre residenti e soprattutto famiglie con figli» che è più bassa rispetto a quella delle altre città metropolitane del Centro Nord. Il risultato è un progressivo invecchiamento della popolazione e una graduale diminuzione della fascia d’età lavorativa. La città con l’età media più alta è Genova (49,2 anni), seguita da Trieste (49,1), Torino, Venezia e Firenze (tutte con una media di 47,1 anni). Sul fronte del lavoro le più basse percentuali di popolazione attiva sono sempre a Genova e Trieste (60%), con Torino al 62%, però caratterizzata dal calo maggiore nell’ultimo decennio con un -4%.

Il capoluogo subalpino resta il terzo per numero assoluto di stranieri, ma ha perso attrattività, infatti tra il 2008 e il 2020 ha fatto registrare il più basso incremento, col +16%, tra tutte le città metropolitane e con valori molto distanti dagli altri comuni del Nord (Venezia +63%, Trieste +57%, Bologna +53%) e del Mezzogiorno (Napoli +153%, Cagliari +121%, Bari +105%, Catania +93%).

Torino è anche meno di richiamo per i giovani (18-34 anni) tra le metropoli del centronord e precede solo Genova per quella dei minorenni. Considerando l’importazione di laureati, si nota che Bologna (+38%) e Milano (+29%) attirano maggiormente, seguite a una certa distanza da Genova (+8%), Firenze (+8%) e, appunto, Torino (5%), che «rappresenta un’eccezione, unica metropoli settentrionale con valori attrattivi tipici di quelle del Mezzogiorno». Lo scarso fascino emerge anche dall’arrivo di persone provenienti da altre regioni: tra le mete preferite ci sono Bologna (con un saldo positivo pari a +6 ogni 1.000 abitanti), Milano (+4,4) e Trieste (+3,3), mentre Torino, con un saldo positivo pari a +0,9 per 1.000 abitanti, risulta l’ultima metropoli del nord.

Tutto ciò, a parere dei ricercatori, è il risultato di congiunture economiche e di decisioni politiche per lo più rivedibili.

Impresa e lavoro

Anche sul terreno economico e produttivo la situazione non appare positiva. Il 2019 si era concluso con il sesto trimestre consecutivo negativo in termini di andamento della produzione industriale, il primo del 2020 ha segnato un -6,5% e il secondo, per ovvie ragioni, addirittura un calo del 14,2%. I valori delle esportazioni sono stati in flessione nel 2018 e nel 2019, per tornare a valori inferiori rispetto al 2008. In dieci anni è mutato anche il trend di crescita del numero di aziende, passando da 236.942 a 219.513, con un saldo negativo del 7,4%. Lo scorso anno vi è stata un’espansione solo per i servizi alla persona e alle imprese. I primi (+3%) hanno confermato un trend che è rimasto in crescita per tutto il decennio e che nel 2019 ha raggiunto il suo massimo; per i secondi il +0,8% del 2019 rappresenta l’incremento maggiore del decennio. Per contro calano di una doppia cifra l’agricoltura, il commercio e l’edilizia: sotto la Mole si sviluppano quindi solo settori a basso valore aggiunto e non legati alla produzione. Infine nei primi mesi del lockdown le problematiche sono state più marcate che in altri capoluoghi.

I dati non sono buoni neppure per le imprese innovative e le startup: la città è quarta, superata da Napoli, Roma e Milano, che guida la classifica. Tra queste giovani società torinesi l’82% operano nei servizi, mentre solo il 17% nell’industria; l’84% sono microimprese, meno di 10 addetti, e poco più della metà hanno un giro d’affari che arriva a 100 mila euro: le startup di dimensioni più grandi operano dunque in altri contesti. In sintesi sono poco hi-tech e soffrono di un certo nanismo. Un elemento favorevole è la crescita della capacità di depositare brevetti: 59 su 90 soddisfano il requisito relativo all’essere depositarie o licenziatarie di un brevetto industriale.

In relazione al tema occupazionale nei primi otto mesi del 2020 Torino, dopo Roma e Milano, è stata la città che ha fatto più ricorso alla cassa integrazione (105 milioni di ore).

Università

Gli atenei torinesi sono in crescita. Negli ultimi dieci anni «il Politecnico ha registrato il più alto incremento di laureati (+57%) tra tutti quelli metropolitani, seguito da Milano Bicocca (+49%), Venezia Ca’ Foscari (+48%) e dal Politecnico milanese (+43%); l’Università di Torino è tredicesima, con un +13 per cento». In questo ambito la città è attrattiva: tanti sono i fuorisede e, ad esempio, tra il 2009 e il 2019 la facoltà di Ingegneria è cresciuta del 62%, con oltre la metà dei giovani provenienti da altre regioni o dall’estero.

«Nel complesso, nel 2019, a Torino sono iscritti a corsi di tipo universitario oltre 120.000 studenti, di cui più di 80.000 all’Università degli studi, circa 35.000 al Politecnico, quasi 6.000 ai corsi di Alta formazione artistica», cioè all’Accademia Albertina o al Conservatorio.

I dati parlano di un surplus di ingegneri tra i laureati, poiché sono il 34% degli universitari che completano il ciclo di studi; il doppio rispetto alle percentuali registrate nel resto del Paese e in Europa, pari al 15%. «Significativamente più bassa della media è, viceversa, l’incidenza a Torino dei laureati nelle professioni sanitarie e, soprattutto, la quota di quelli in materie umanistiche».

La città forma molti laureati, ma non tutti restano in regione: nel 2016, «solo due terzi sono rimasti a lavorare in Piemonte; il 10% ha trovato un’occupazione in Lombardia, l’8% in altre regioni del Nord, l’8% all’estero». Nel dettaglio, gli economisti si spostano soprattutto verso Milano (15 %); un terzo dei nuovi ingegneri emigra, in particolare, in Lombardia e all’estero. Nel numero di laureati tra i suoi giovani residenti Torino sta sprofondando: nella classifica in base a tale parametro «era al sesto posto nel 2001, nel 2017 addirittura al dodicesimo», precedendo soltanto Venezia, Palermo e Catania. C’è una contraddizione tra la capacità di formare e quella di offrire le giuste occasioni nel mondo del lavoro.

Turismo

L’elemento centrale di riflessione sul comparto è provocatorio, soprattutto per la politica cittadina: c’è una bella differenza, affermano i ricercatori, tra la narrazione «istituzionale» e la realtà dei dati. «Colpisce la distanza tra i toni “compiaciuti” di buona parte della pubblicistica istituzionale» e studi indipendenti, a partire da quello proposto dalla Bocconi, che così si esprime: «Torino non presenta ancora una cultura dell’accoglienza». Un’altra fonte sottolinea «la mancanza di un’efficace governance regionale, la scarsità di risorse per la comunicazione, skill turistiche ancora poco sviluppate negli operatori, scarsità di risorse e di accessibilità».

Per misurare il fenomeno in rapporto ad altre realtà è sufficiente mostrare i numeri del traffico passeggeri da Caselle: 86° posto in Europa, al livello di Leeds, Norimberga e Katowice. Le Olimpiadi invernali del 2006 furono un grande lancio, ma non abbastanza sfruttato: nel primo decennio del Duemila, la crescita dell’offerta ricettiva è cresciuta del 40%, sesto valore tra i capoluoghi metropolitani, ben distante però da Palermo (+60%), Roma (+69%) e Venezia (+89%); e nel successivo periodo è stata ancor più ridotta (+5%), undicesima tra essi.

Si fa notare che è mancata l’evoluzione verso un turismo deluxe, in quanto tra gli hotel a 4-5 stelle, segmento solitamente in crescita, a Torino l’offerta rimane piuttosto debole, con un’incidenza di posti letto pari al 29% di quella alberghiera complessiva, collocandosi al quattordicesimo e penultimo posto tra i territori metropolitani. Sul versante della disponibilità delle strutture ricettive extralberghiere vi è anche un livello non elevato di opportunità.

Per numero di turisti Torino è in sesta posizione in Italia, con poco più di sette milioni di presenze. Il maggiore punto di forza è il turismo culturale e museale, nel quale spiccano la Reggia di Venaria in un costante testa a testa con il Museo egizio, che nel 2019 è tornato di nuovo il primo dell’area torinese per numero di visitatori (853.320) e in forte crescita (+72% rispetto al 2012). Nelle guide enogastronomiche, per contro, la situazione non è altrettanto rosea: Torino compare unicamente per il vermouth, mentre il Piemonte è tra le regioni più citate, ma quasi solo grazie alle Langhe.

È in aumento la capacità di attrarre flussi turistici per motivi di salute e di cura, come pure per le gite scolastiche. Un traino significativo, se si esclude l’attuale fase condizionata dalla pandemia, è fornito dal turismo di carattere sportivo: dalle partite di Champions della Juventus provengono introiti significativi, tra hotel, shopping, trasporti e ristorazione.

Sanità

L’ultimo capitolo evidenza che Torino, rispetto agli altri contesti metropolitani, all’inizio della pandemia si è presentata con una dotazione medio-bassa del sistema sanitario, in termini di posti letto, quantità di personale medico, copertura vaccinale antinfluenzale.

Alle carenze strutturali vanno aggiunte quelle della governance dei sistemi sanitari, soprattutto dell’aver «concentrato attenzioni e risorse negli ultimi anni sugli ospedali, a discapito dell’assistenza sanitaria diffusa sul territorio e (a causa della forte crescita di anziani) sulle patologie croniche, finendo per abituare buona parte dei servizi a lavorare su tempi lunghi e “lenti” rivelandosi così in difficoltà nel reagire a un emergenza». Il Piemonte viene da anni nei quali i tagli alla sanità sono stati notevoli, per realizzare gli obiettivi di rientro dagli alti livelli di deficit, che hanno impoverito il sistema e la sua efficienza. Nel 2018 la regione era all’ottavo posto, tra le 13 metropolitane, e ultimo nel nord del Paese, per l’assistenza domiciliare integrata, in coda per numero di posti letto in terapia intensiva rispetto alla popolazione residente, al quart’ultimo per la dotazione di ventilatori polmonari.

Torino, rispetto alle altre aree metropolitane, si colloca al settimo gradino per rapporto tra posti letto e abitanti, al nono per il tasso di utilizzo degli stessi, all’ottavo per il numero di infermieri, al decimo per i medici disponibili e al quattordicesimo per i pediatri.

 

L’intervista

Abbiamo chiesto a Luca Davico, coordinatore del lavoro dalla prima edizione, di affrontare alcune tematiche particolarmente rilevanti.

Quali sono le principali criticità da voi rilevate nella situazione dell’area torinese sotto il profilo dell’attrattività, che caratterizza il Rapporto del 2020?

In grande sintesi sono sostanzialmente due: quella relativa alla popolazione e quella infrastrutturale.

Quali alcuni elementi da porre in evidenza per la prima problematica?

Torino e la sua area metropolitana hanno perso attrattività. Una delle priorità è porre in atto politiche di contrasto al fenomeno dello spopolamento. Si tratta di potenziare, ad esempio, i servizi per le famiglie in particolare quelli per la prima infanzia.

Un ulteriore fattore importante è la disponibilità di personale qualificato, ad esempio abbiamo pochi laureati, in particolare giovani, sempre meno in questi anni a confronto con le altre metropoli italiane ed europee. In generale, poi, la dispersione scolastica è un fattore rilavante, come pure il basso numero di residenti che si iscrivono e completano gli studi universitari e il fatto che tra questi circa un terzo se ne vanno altrove per lavorare.

Allo scopo di invertire questa tendenza vi è la necessità di un impegno comune tra l’amministrazione comunale, che da sola non basta, il tessuto imprenditoriale e gli atenei, per avere ricadute positive nell’area torinese.

Invece per quanto concerne le infrastrutture?

Il Rapporto Rota più volte ha sollecitato l’attenzione su questo tema, ma purtroppo senza incidere sufficientemente sui decisori.

È preoccupante la situazione delle reti telematiche: siamo in un’area depressa, particolarmente nei comuni della provincia, salvo poche eccezioni. Nel lavoro di quest’anno abbiamo riportato dei dati internazionali sulla velocità di connessione e la stabilità dei collegamenti: emerge un miglioramento in Italia e nella nostra area, ma che non tiene il passo col resto del mondo: a ottobre 2020 il nostro Paese è sceso al 48° posto al mondo (dal 36° di 12 mesi prima), ultima dell’UE, in Europa precede ormai solo Kosovo, Bosnia, Ucraina e Macedonia.

Sarebbe urgente e importante che l’amministrazione di Torino e l’Area metropolitana proponessero e sollecitassero un piano straordinario sulle infrastrutture telematiche in grado di colmare il ritardo accumulato.

Il problema è che è ben difficile pensare di attirare imprese con una rete così problematica: l’industria 4.0 non è pensabile in un simile contesto e neppure lo sviluppo dello smart working e della didattica a distanza, che si stanno diffondendo a causa della pandemia, ma che potrebbero, soprattutto nel mondo del lavoro, proseguire.

Un altro nodo strutturale è quello dell’aeroporto di Caselle, che sta sempre più scendendo nelle graduatorie del traffico passeggeri (da 9° a 14° scalo metropolitano negli ultimi vent’anni) e merci (da 7° a 14°).

Il tema delle infrastrutture e dell’accessibilità è importante come elemento strategico trasversale a tanti temi, tra i quali il turismo.

Il Rapporto ha dedicato a questo settore un intero capitolo, con quali spunti?

È importante sottolineare che dai nostri dati emerge in primo luogo un notevole ritardo culturale, una resistenza, vinti solo in parte grazie ad alcuni indubbi successi, quali le olimpiadi, l’ostensione della Sindone e il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. Ancora oggi il turismo è considerato un comparto economico un po’ “frivolo” in rapporto ad altri, come il manifatturiero, l’industria.

Nell’area torinese andrebbero considerati molti aspetti del turismo, oltre a quello museale che indubbiamente oggi è trainante.

La Reggia di Venaria è stata oggetto di investimenti e di rilancio, ma come può essere raggiunta da un turista senza l’auto? Non esistono per tale importante sito, come per altri, i necessari agevoli collegamenti.

È carente la promozione, persino in relazione a tipologie di turismo nelle quali Torino eccelle, come quello scolastico. Nella nostra esperienza le strutture dedicate a ciò spesso mancano di dati, non sono a conoscenza delle situazioni, a volte sottovalutano l’importanza di alcuni fenomeni, per cui non sono in grado di orientare l’azione politica e amministrativa e di ampliare l’offerta turistica, sia nei confronti di settori tradizionali, quali quello religioso ed enogastronomico, o emergenti come il turismo naturalistico, quello in bicicletta o a piedi. Per fare un esempio, il tratto ancora non realizzato in Italia di una ciclovia che collega la Spagna con l’est europeo è proprio quello torinese, poiché da Casale riprende fino a Venezia e oltre. Ancora, il progetto di rendere i fiumi torinesi un’attrazione anche turistica, di alcuni anni fa, non si è sostanzialmente sviluppato, quando altre realtà hanno promosso un turismo legato a fiumi e laghi con ottimi risultati.

Per non parlare del turismo religioso, che a Torino potrebbe essere promosso con successo a partire dalla Sindone per coinvolgere altre aree, come i luoghi legati ai santi sociali, don Bosco in primo luogo: due dati significativi sono che l’evento che ha portato più visitatori nella Città, più delle olimpiadi, è stata l’ostensione del 2010, mentre il museo ad essa dedicato è il terzultimo come presenze dei circa 40 torinesi.

Oggi, purtroppo, ci si accontenta delle foto con le code davanti ad alcuni musei in occasione dei “ponti”, senza puntare ad altri comparti turistici che potrebbero essere facilmente sviluppati.

Il dato che più ci ha stupito in questo ambito è quello diffuso, dall’Agenzia nazionale del turismo, sugli strumenti di comunicazione dei tour operator dei 24 principali mercati turistici sulla visibilità del “prodotto Italia” e dei suoi territori: ebbene, Torino è “invisibile”, non ci sono citazioni del nostro capoluogo; il Piemonte nella graduatoria è circa a metà tra le regioni, quasi solo grazie alle Langhe e al turismo enogastronomico. È il frutto di una mancata strategia e azioni di promozione.

 

Il commento

La pandemia, quando sarà stata limitata e consentirà di ripartire, avrà provocato delle ripercussioni che avranno profondamente modificato i termini della competitività del territorio: la società non sarà più quella di prima, ci saranno seri cambiamenti nel modo di vivere, di consumare, di produrre e di lavorare. A questa situazione va data una risposta, da subito, con un progetto di ampio respiro. Può essere l’occasione per ripartire, su basi nuove.

I cittadini torinesi si preparano a eleggere il nuovo consiglio comunale e il nuovo sindaco, che sarà anche al vertice dell’amministrazione della città metropolitana. Il voto nel capoluogo, quindi, ha una sua importanza anche per tutto il territorio dei 316 comuni che la compongono.

Alle forze politiche, sulla base della fotografia fornita del Rapporto Rota e dalle altre ricerche che periodicamente mostrano dati e indicazioni sulla situazione, deve essere richiesto di elaborare una progettualità di breve e medio-lungo periodo in grado di affrontare la difficile congiuntura. Significa indicare, tra le competenze istituzionali, quali prospettive avviare, quali progetti intraprendere, e come si intende muovere l’amministrazione per essere di stimolo alle istanze superiori, regione Piemonte e Stato, perché svolgano la loro parte nell’area torinese.

Per realizzare tutto ciò è indispensabile aggregare e mobilitare tutti i soggetti e le risorse possibili per costruire la progettualità e realizzarla. In tale direzione i cittadini, le realtà sociali ed economiche, le forze politiche devono sapersi incontrare, dialogare, elaborare proposte, da formalizzare in programmi elettorali da parte di queste ultime, perché siano sottoposte al giudizio degli elettori.

Fino ad ora i segnali sono deludenti, per i partiti sembra importante solo il nome della candidata o del candidato sindaco, e non un serio percorso in grado di produrre autorevoli piattaforme progettuali. Dall’altra parte, nella cosiddetta società civile, salvo pochi esempi virtuosi, sembra prevalere lo scoraggiamento, la disillusione e l’attesa che altri agiscano.

Il Rapporto Rota può essere un prezioso stimolo per individuare alcuni fondamentali elementi sui quali concentrare lo sforzo di elaborazione. Ne accenniamo alcuni, senza la pretesa di essere esaustivi.

Di fronte alla criticità dell’attrattività demografica una delle priorità della nuova amministrazione dovrebbe essere porre in atto politiche di contrasto al fenomeno dello spopolamento: potenziare, ad esempio, i servizi per le famiglie, come quelli per la prima infanzia. Il segnale proveniente dalla constatazione della presenza, attualmente, di soli due dirigenti nella Divisione Servizi Educativi non può essere interpretato come una certa sottovalutazione del tema?

Per invertire la tendenza alla “fuga dei cervelli”, vi è la necessità di un impegno comune tra l’amministrazione comunale, che da sola non basta, con il tessuto imprenditoriale e gli atenei, per avere ricadute positive.

In merito alle infrastrutture il Rapporto Rota più volte ha sollecitato l’attenzione sull’argomento, ma purtroppo senza incidere sufficientemente sui decisori. Preoccupante appare, in particolare, la situazione delle reti telematiche: siamo in un’area depressa, soprattutto nei comuni della provincia, salvo poche eccezioni. Emergono in Italia e nel torinese dei miglioramenti, ma che non tengono il passo a confronto con i paesi dell’UE, dove siamo tra i fanalini di coda, ma neppure in rapporto con altre nazioni di altri continenti.

Sarebbe urgente e importante che l’amministrazione di Torino e dell’area metropolitana proponessero e sollecitassero un piano straordinario sulle infrastrutture telematiche in grado di colmare il ritardo accumulato. È ben difficile pensare di attirare imprese con una rete così problematica: l’industria 4.0 non è pensabile in un simile contesto e neppure lo sviluppo dello smart working e della didattica a distanza che si stanno diffondendo a causa della pandemia, ma che potrebbero, soprattutto nel mondo del lavoro, proseguire.

Le infrastrutture sono un fattore significativo di attrazione per investimenti produttivi e nuove imprese, accompagnate da altri fattori quali la semplificazione della burocrazia, la riduzione dei costi, il supporto all’insediamento delle attività economiche. I governi cittadino e metropolitano dovrebbero essere promotori, con l’amministrazione regionale, di iniziative volte a potenziare gli elementi prima citati, con strutture e servizi espressamente dedicati.

Un’ulteriore componente di attrattività è porre particolare attenzione e investire sulla qualità della vita, che non vede Torino nelle parti alte della speciale classifica, sia per le imprese, sia per le famiglie, come pure per rendere migliore l’esistenza di chi già vi risiede.

Un altro nodo strutturale è quello dell’aeroporto di Caselle, che sta sempre più scendendo nelle graduatorie del traffico passeggeri e merci. Questo problema riporta la tema del turismo, che dovrebbe essere tra quelli trainanti nel prossimo futuro, tenendo conto del desiderio che tutti avranno di muoversi, quando sarà superata la pandemia. Occuparsene a fondo significa un investimento utile.

Un’ultima notazione merita il tema della sanità. È vero che la competenza è in capo alla regione, ma il sindaco è il responsabile della condizione di salute della popolazione del suo territorio, quindi può svolgere un ruolo, come minimo di pressione politica, nei confronti delle modalità di gestione del tema. Le indicazioni prima citate presenti sul Rapporto, che pongono in evidenza i nodi strutturali e di governance relativi alla sanità, dovrebbero spingere per una profonda rivisitazione del modello di gestione, che ponga al centro la persona, e non le sole compatibilità economiche, senza ovviamente dimenticarle, e un’organizzazione rivolta al territorio e all’assistenza domiciliare.

Per progettare e realizzare queste indicazioni, e le altre necessarie per un rilancio del torinese, sono anche essenziali fantasia e creatività, insieme alla capacità di conoscere come altri hanno affrontato problematiche simili, copiando e magari migliorando quanto stanno facendo in differenti contesti.

Auspichiamo che le forze politiche sappiano raccogliere la sfida, col contributo di cittadini e realtà organizzate sociali ed economiche.

 

 

Le fonti

L’illustrazione di alcuni contenuti del Rapporto Rota esposta in precedenza non esaurisce la ricchezza del testo integrale, che invitiamo a consultare sul sito.

Oltre al lavoro del 2020 sono a disposizione le precedenti edizioni, fino alla prima, quella del 2000. Nella sezione denominata “Banca dati” sono presenti i dati statistici prodotti e raccolti nel corso del tempo dal gruppo di ricerca, suddivisi in otto sezioni: demografia, economia e innovazione, formazione, ambiente e sicurezza, mobilità, sanità e assistenza, trasformazioni urbane e cultura. Si tratta di una miniera di informazioni, arricchite da tabelle, commenti e collegamenti a ulteriori fonti. Il sito è completato da una ricca bibliografia, da notizie e dalla pubblicità di interessanti eventi.

Il Rapporto si inserisce nel più complesso ventaglio di attività del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, il cui portale è altrettanto utile scorrere.