Robert Schuman: l’architetto dell’integrazione

Il personaggio

Il 9 maggio del 1950 l’allora ministro degli esteri della Repubblica francese Robert Schuman pronunciò un discorso che segnò l’avvio del processo di integrazione europea.

Egli visse in prima persona le conseguenze delle evoluzioni degli stati nazione: nacque infatti in Lussemburgo nel 1886 da padre francese, diventato cittadino tedesco con l’annessione dell’Alsazia-Lorena, per ritornare francese dopo la fine della Prima guerra mondiale e la restituzione del territorio alla Francia, e madre lussemburghese: quindi il giovane Robert seguì il percorso del padre sotto il profilo della nazionalità, crescendo in una zona di confine tra lingue e culture.

A lui dedichiamo la pagina del “testimone” di questo mese, mettendo in relazione la sua figura con quella già presentata di Altiero Spinelli, uniti dalle comuni aspirazioni e intuizioni in merito al destino del nostro Continente, seppure da posizioni politiche differenti.

Nel sito ufficiale dell’Unione Europea è presente una sintetica, ma esaustiva, biografia dello statista francese, scomparso a Scy-Chazelles, un piccolo paese nel Dipartimento della Mosella vicino a Metz, nel 1963, ove si trova un museo a lui dedicato, situato nell’abitazione nella quale visse.

Profondamente credente, nel 1990 l’allora vescovo di Metz Pierre Raffin ha aperto il processo di beatificazione, concluso nel 2004 per la fase diocesana e trasmesso in Vaticano per i passaggi successivi.

 

Robert Schuman ha un’estrazione veramente europea: nacque il 29 giugno del 1886 in Lussemburgo da padre francese, che divenne tedesco quando la zona dove viveva fu annessa dalla Germania, e da madre lussemburghese. Alla sua nascita, Schuman era un cittadino tedesco. Ma quando nel 1919, terminata la Prima Guerra Mondiale, la regione dell’Alsazia-Lorena fu restituita alla Francia, divenne cittadino francese. Prima della guerra studiò legge, economia, filosofia politica, teologia e statistica presso le università di Bonn, Monaco, Berlino e Strasburgo e si laureò in legge con il massimo dei voti presso l’Università di Strasburgo. Dopo la laurea, aprì il proprio studio legale a Metz nel 1912. Due anni dopo scoppiò la Prima Guerra Mondiale. Schuman venne riformato per motivi medici. Terminata la guerra si impegnò attivamente in politica, iniziando una carriera nella pubblica amministrazione come deputato francese per la regione della Mosella. Quando iniziò la Seconda Guerra Mondiale Schuman era un giovane sottosegretario del governo francese. Prese parte attiva nella resistenza francese durante la guerra e fu preso prigioniero. Evitando per poco la deportazione nel campo di concentramento di Dachau, raggiunse la zona “libera” francese dandosi poi alla macchia quando i nazisti la invasero. In clandestinità, con una taglia di 100.000 Reichsmark che pendeva sulla sua testa, si oppose ai tedeschi per i tre anni successivi. Declinò l’invito a Londra del leader francese in esilio, de Gaulle, preferendo rimanere con i suoi compatrioti nella Francia occupata dai nazisti. Dopo la guerra, tornò alla politica nazionale con una serie di incarichi di massimo livello: ministro delle Finanze, Primo ministro nel 1947, ministro degli Esteri dal 1948 al 1952 e successivamente ministro della Giustizia dal 1955 al 1956. Divenne un negoziatore chiave di importanti trattati e iniziative quali il Consiglio d’Europa, il Piano Marshall e la NATO, tutte volte ad incrementare la cooperazione all’interno dell’alleanza occidentale e a unire l’Europa. Ma ciò per cui Schuman è più noto è quella che oggi viene chiamata la “Dichiarazione Schuman”, con la quale propose alla Germania e agli altri paesi europei di lavorare insieme per far convergere i rispettivi interessi economici. Era convinto che tale convergenza avrebbe reso la guerra «non solo impensabile, ma materialmente impossibile».

In un discorso reso il 9 maggio del 1950, ispirato e per la gran parte scritto da Jean Monnet, Schuman propose di porre l’intera produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto l’egida di un’Alta autorità comune. L’organizzazione sarebbe rimasta aperta alla partecipazione di altri Stati europei. Tale cooperazione doveva essere pensata in maniera da creare una convergenza di interessi tra i paesi europei, tale da portare alla progressiva integrazione politica, requisito essenziale per una pacificazione delle relazioni reciproche: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania».

Il suo discorso non cadde nel vuoto: il Cancelliere tedesco Adenauer replicò rapidamente con una nota positiva, così come fecero i governi di Paesi Bassi, Belgio, Italia e Lussemburgo. Trascorso un solo anno, il 18 aprile del 1951 i sei Stati fondatori firmarono il Trattato di Parigi con cui fu istituita la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, la prima Comunità sovranazionale europea. Questa organizzazione innovativa spianò la strada alla Comunità economica europea e successivamente all’Unione Europea, tuttora gestita sul moderno modello di istituzione europea pensato nel 1950. Ma l’impegno di Schuman andò oltre. Divenne un grande fautore di un’ulteriore integrazione per mezzo della Comunità europea di difesa e, nel 1958 divenne il primo Presidente del precursore dell’attuale Parlamento europeo. Quando lasciò la sua carica, il Parlamento gli conferì il titolo di “padre dell’Europa”. In riconoscimento dell’importanza della “Dichiarazione Schuman” del 9 maggio 1950, si celebra oggi in tale data la “Festa dell’Europa”. E in onore del suo lavoro pionieristico per un’Europa unita, il quartiere di Bruxelles che ospita numerose istituzioni europee è stato battezzato con il suo nome.

 

Il commento

«La politica, se ben intesa, non può che essere servizio al bene comune. E per i credenti si profila come alta espressione di carità, di amore al prossimo. Per questa ragione anche dalla politica può passare, per il laico cristiano, la via alla santità. È quello che si cerca di provare per la vicenda terrena di Robert Schuman» questo sostiene Bernard Ardura, presidente del Pontificio comitato di scienze storiche, nonché postulatore della causa di beatificazione dello statista transalpino.

Egli fu un profondo credente e un politico accorto, che cercò di tradurre il suo sguardo profetico sull’Europa del suo tempo e, spinto dalla fede che lo ispirò, dalla speranza che lo animò, dalla carità che visse nella vita politica, si impegnò a preparare un futuro di pace per i popoli del Continente, dopo la tragedia della guerra.

Nella vita dette prova di grande rettitudine e indipendenza, opponendosi, ad esempio, a provvedimenti sui beni confiscati ai tedeschi, che avrebbero favorito alcuni appartenenti al suo stesso partito. Un semplice aneddoto testimonia poi la sua integrità: ospite di amici che lo nascondevano, si rifiutò di aggiungere alle bevande lo zucchero, poiché tale alimento era razionato ed egli era privo, in quanto clandestino, della tessera annonaria.

Una delle caratteristiche della sua esistenza fu la semplicità: da ministro preferiva andare il più possibile a piedi piuttosto che con l’auto di servizio e aveva l’abitudine di spegnere le luci lasciate inutilmente accese negli uffici del Ministero! Questa e una certa mitezza negli atteggiamenti erano spesso scambiate per ingenuità e debolezza; ma il suo atteggiamento di dar fiducia agli altri, il suo rifiuto di usare inganni, si accompagnavano a un’acuta intelligenza: seguì il motto evangelico che afferma di essere prudenti come serpenti, e semplici come colombe (Mt 10,16).

Schuman fu un uomo pratico, dedito pienamente al suo lavoro, consapevole che i risultati si ottengono con la pazienza e il dialogo, armi per favorire una collaborazione fattiva e superare le diffidenze.

Era convinto che una società a misura d’uomo è costruita secondo un progetto di “umanesimo integrale”, non materialista, aperto a Dio e alla trascendenza. Il compito dei cristiani, di fronte alla politica, per lui non si limita a predicare l’onestà, ma è diretto a far sì che siano difesi i valori della persona, poiché anche in democrazia possono essere prodotte leggi ingiuste.

Dimostrò di avere una grande fiducia nella Provvidenza, la capacità di coltivare la speranza anche dopo degli insuccessi, unita alla pazienza nel sopportare giudizi, convinto che integrità e coerenza ottengono i giusti risultati.

Nella sua azione politica si impegnò a costruire il bene comune, a cercare l’interesse di tutti, scelse di rimboccarsi le maniche, di diventare un uomo di potere utilizzandolo non per sé, ma per gli altri, non tirandosi indietro di fronte alle responsabilità. Da persona di fede decise di fare politica, ai massimi livelli, per rispondere alla chiamata che sentiva, per realizzare quella che era la sua vocazione. Dette l’esempio di una persona sempre impegnata, leale, corretta, rispettosa degli avversari politici.

Un’ulteriore caratteristica che lo ha contraddistinto fu la competenza, la “prudenza” evangelica, la convinzione di dover essere preparati, di padroneggiare le vaste materie connesse alla propria attività. Competenza necessaria sia per individuare correttamente i valori cristiani che dovevano animare la sua azione politica, sia per trovare il modo di dare loro una concretezza. Egli non si stancò mai di studiare, confrontarsi, meditare, sforzarsi di capire; gli venne riconosciuta infatti una grande cognizione dei problemi. Inoltre, è emerso come avesse l’abitudine di raccogliersi in preghiera prima di assumere le decisioni più difficili.

Il suo pensiero sull’impegno politico per un credente era che il cristianesimo non è solo culto e opere di carità, non è un fatto privato, ma è sorgente dei valori che devono concretizzarsi e animare la democrazia: la politica, per lui, era un’estensione dell’apostolato, peraltro anch’esso praticato.

Schuman crebbe in un contesto, quello del cattolicesimo sociale tedesco, che in Alsazia e Lorena aveva favorito un grande progresso nella condizione dei ceti più deboli; egli cercò nella sua azione politica di estendere al resto della Francia alcune di queste conquiste, come l’assistenza sanitaria e il sistema pensionistico pubblici.

Schuman, come gli altri padri dell’Europa unita, De Gasperi e Adenauer per citarne due, ebbero forti ideali, come quello della “casa comune”. I problemi si pongono, invece, quando politici e istituzioni camminano senza valori; quando anziché mirare al bene comune e a un interesse superiore, si piegano agli egoismi nazionali o locali, quando scaricano sull’Europa tutte le colpe possibili, anche quelle che in realtà riguardano la loro incapacità di agire e le loro inettitudini.

Per lui, inoltre, essere cattolico significò essere cittadino di una grande patria spirituale, la Chiesa di Roma, che superava ogni confine nazionale. Capì che il futuro europeo sarebbe stato nella collaborazione tra i popoli.

Schuman era convinto della necessità di riportare la Germania nell’alveo delle democrazie e di ristabilire interessi comuni, concreti, tra i paesi europei: questo avrebbe creato una “solidarietà di fatto” tra gli stati e i popoli che fino a poco tempo prima si erano scontrati sui campi di battaglia. Da qui la scelta della condivisione delle produzioni di carbone e acciaio, strumenti dell’industria bellica, da indirizzare però allo sviluppo economico, al benessere, il tutto in un quadro istituzionale: appunto la CECA.

Quasi contemporaneamente venne elaborata dal Consiglio d’Europa la Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che rappresenta uno dei massimi traguardi dello spirito e della cultura europei. Essa venne firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai ministri degli esteri dei dieci paesi allora membri del Consiglio d’Europa; dopo le ratifiche entrò in vigore il 3 settembre del 1953. Negli stati membri essa ha avuto subito valore costituzionale. Oggi gli aderenti sono 40, con un totale di 600 milioni di cittadini. Essa ha costituito il fondamento spirituale e morale della politica delle Nazioni Unite e di quella dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Schuman, in qualità di ministro degli esteri francese, e soprattutto come presidente del Comitato ministeriale del Consiglio d’Europa, ha influenzato in maniera sostanziale la Convenzione.

Passi in avanti consistevano nello sviluppare gli scambi attraverso l’unione doganale e la creazione di un mercato comune; non una semplice area di libero commercio, ma un’unione sempre più stretta, con legami tra le economie nazionali in crescita per creare una vera “comunità di destino”.

Con l’unione economica si trattava di approfondire gli scambi, non soltanto delle merci, ma anche delle persone, con il principio della libertà di circolazione, condizione per cominciare a creare una coscienza europea. Significava anche mettere in gioco delle politiche specifiche, per esempio per l’agricoltura, per la pesca o per i trasporti. Dietro l’unità economica, doveva crescere il progresso non soltanto economico, ma soprattutto sociale, con una solidarietà inedita tra le regioni.

Due erano i pilastri sui quali, secondo Schuman, si doveva reggere l’Europa: le comuni radici cristiane e la solidarietà. Radici cristiane che per lui volevano dire un’attenzione costante alla persona e ai valori del vivere sociale, in primo luogo la solidarietà. A suo parere era assolutamente certo che, nonostante le diversità, non vi fosse per le nazioni del Continente che una ragionevole strada per disegnare un futuro di progresso per i popoli: unirsi. Ogni stato doveva costituire una componente insostituibile, ma era proprio il più alto principio della solidarietà che avrebbe dovuto guidare le nazioni a rimuovere gli ostacoli per arrivare a una coesione sempre più autentica.

Malgrado le opinioni contrarie di questa fase storica è importante sottolineare come tali scelte abbiano portato anni di pace, di progresso sociale, di solidarietà e conoscenza mutua tra i popoli. Le difficoltà odierne non vengono tanto dai Trattati, ma dalla complessità di costruire un’Europa socialmente, politicamente ed economicamente davvero unita; andando oltre a una visione invece più tecnocratica e burocratica.

È necessario superare un certo deficit democratico e il sentimento che i popoli siano al di fuori del movimento europeista, puntando a costruire una Costituzione europea condivisa.

Oggi viviamo uno dei momenti più difficili della storia comunitaria, ma, come ha scritto Robert Schuman, l’Europa richiede tempo per essere costruita, coraggio, e sempre maggiore coesione per proseguire sul cammino della costruzione di un’unità ancora non completa.

Per tale ragione oggi la posta in gioco sta nell’approfondimento politico, nella ricerca di istituzioni comuni chiare ed efficaci, con decisioni politiche comprensibili da tutti, capaci di costruire una vera convergenza, di passare dall’unità economica e monetaria all’unità politica, e di costruire una coscienza europea. Quando, ad esempio, avremo tutti la nazionalità europea? Quando avremo una squadra di calcio europea e una sola rappresentativa europea ai Giochi olimpici? Sarebbe, dal punto di vista simbolico, più importante della moneta unica.

Col tempo sono diventati egemoni gli aspetti burocratici, finanziari e monetari, dimenticando che non ci può essere unione senza la condivisione di valori quali l’accoglienza, il rispetto della dignità di tutti gli uomini, soprattutto dei più deboli, senza avere un progetto per generare una federazione di stati nazionali, che è una forma istituzionale del tutto inedita e innovativa. Per rispondere alle nuove sfide, l’Europa deve ri-generarsi, ma ha bisogno di leader che siano all’altezza delle difficoltà del tempo la cui forza morale sia posta per dirimere, non per ampliare, i conflitti, per mediare, non per imporre o manifestare la propria forza, nonché di popoli disposti a integrarsi per crescere.

In conclusione, tornando al nostro protagonista, il miglior ritratto di Schuman è stato offerto probabilmente da un collega che non condivideva la sua fede religiosa, né le sue idee politiche, André Philip, un socialista, predecessore di Schuman al Ministero delle Finanze. Egli lo ha ricordato così: «Avevamo di fronte un uomo consacrato, senza desideri personali, di una totale sincerità e umiltà intellettuale, che cercava solo di servire nel luogo e nel momento in cui si sentiva chiamato […]. Resterà nella memoria di coloro che l’hanno conosciuto come il tipo del vero democratico, immaginativo e creatore, combattivo nella sua dolcezza, sempre rispettoso dell’uomo, fedele a una vocazione intima che gli dava il senso della vita”.

 

I documenti

Per chi desidera approfondire la figura di Robert Schuman è presente una vasta bibliografia e in rete è possibile accedere a un’ampia documentazione.

È stata creata una fondazione a lui dedicata che gestisce un centro di studi e ricerche sull’Europa: tra le attività svolte, presentate nel sito web, vi è un rapporto annuale sullo stato dell’Unione.

Nelle librerie è disponibile un volume dal semplice titolo Per l’Europa, contenente una serie di stralci di articoli, note, testi di conferenze che espongono il suo pensiero sull’integrazione europea. Il libro, pubblicato per la prima volta nell’edizione francese appena dopo la morte di Schuman nel settembre 1963, e tradotto in diverse lingue (in italiano nel 1965), è stato riproposto nel nostro Paese in edizione critica nel 2017 ed è considerato il testamento spirituale dello statista transalpino.

A questo link è accessibile un breve contributo filmato di RAI storia sul suo discorso pronunciato il 9 maggio 1950 a Parigi.

Da immagini provenienti dall’archivio delle istituzioni europee è tratto un video su Schuman e i primi passi del processo di integrazione tra i paesi del Vecchio Continente.

Come ricordato, il 9 maggio del 1950 Robert Schuman rilasciò una dichiarazione che segna la data di nascita di questo percorso. È interessante, e importante per comprendere alcune sfaccettature della figura del nostro testimone, ricostruire gli antefatti dell’evento.

Egli è ministro degli Esteri del governo francese guidato da Georges Bidault. A Parigi è convocato il Consiglio dei ministri. Schuman vuole presentare il suo progetto della “Comunità del carbone e dell’acciaio”, ma è cosciente di una certa ostilità antitedesca ancora molto forte nel Paese e teme che il suo piano sia bocciato. Da politico accorto, decide che prima di proporlo ha bisogno di avere il consenso preventivo della Germania, così affida a un collaboratore una lettera da consegnare al Cancelliere Konrad Adenauer, che, appena ricevuta, chiama telefonicamente Schuman, proprio durante la seduta del Consiglio dei ministri, annunciando l’assenso al progetto della CECA da parte della Germania Federale.

Tra i componenti del governo solo due ministri fidati, René Mayer e René Pleven sono stati messi al corrente da Schuman delle sue intenzioni. Verso la fine del Consiglio, quando i presenti sono ormai stanchi e distratti, avvicinandosi anche l’ora di pranzo, Schuman legge la dichiarazione che ha preparato nella quale è illustrato il progetto, chiedendo che venga approvata. Il Presidente del Consiglio si rivolge agli altri ministri sollecitando un loro parere. Come precedentemente concordato prendono subito la parola sia Mayer sia Pleven che perorano la causa della “Comunità del carbone e dell’acciaio”, insistendo per la sua adozione immediata. Il Presidente Bidault non si oppone e il progetto viene approvato. Mentre al Quai d’Orsay, la sede del ministero degli Esteri, si preparano sala, tavoli, sedie e microfoni per la conferenza stampa convocata per rendere di dominio pubblico l’adozione del nuovo progetto, la Germania Federale annuncia la sua adesione al Consiglio d’Europa.

La creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) prevedeva che i paesi membri avrebbero messo in comune le produzioni di queste importanti materie prime.

La CECA, fondata da Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, è stata la prima di una serie di istituzioni sovranazionali del Vecchio Continente che avrebbero condotto a quella che si chiama oggi “Unione europea”.

Il contesto storico del 1950 vedeva le nazioni del Continente che cercavano ancora di risollevarsi dalle conseguenze devastanti della Seconda guerra mondiale, conclusasi cinque anni prima.

Determinati a impedire il ripetersi di un simile terribile conflitto, i governi giunsero alla conclusione che la fusione delle produzioni di carbone e acciaio avrebbe fatto sì che una guerra tra Francia e Germania, storicamente rivali, diventasse, per usare le parole di Schuman, “non solo impensabile, ma materialmente impossibile”.

Si pensava, giustamente, che mettere in comune gli interessi economici avrebbe contribuito a innalzare i livelli di vita e sarebbe stato il primo passo verso un’Europa più unita. L’adesione alla CECA era aperta ad altri paesi.

È utile ricordare le principali affermazioni della Dichiarazione, il cui testo integrale è disponibile a questo link, insieme ad altre frasi di Schuman.

«La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche […]. L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».

«La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio […] cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime».

«Ho la ferma fiducia che l’unificazione dell’Europa non potrà più essere fermata, nonostante i dubbi e le ostilità che potranno impedire il suo progresso».

«Questa guerra, benché estremamente terribile, un giorno finirà, e finirà con la vittoria del mondo libero. La forza non ha mai trionfato a lungo sul diritto. Non bisogna continuare con l’odio ed i risentimenti contro i Tedeschi. Al contrario, senza dimenticare il passato, bisognerà riunirli e fare di tutto per integrarli nel mondo libero».

«La democrazia deve la sua origine e il suo sviluppo al cristianesimo. È nata quando l’uomo è stato chiamato a realizzare la dignità della persona nella libertà individuale, il rispetto dei diritti degli altri e l’amore verso il prossimo. Prima dell’annuncio cristiano tali principî non erano stati formulati, né erano mai divenuti la base spirituale di un sistema di autorità. È stato per primo il cristianesimo che ha dato valore all’uguaglianza di tutti gli uomini senza differenza di classi e razze ed ha trasmesso la morale del lavoro – l’ora et labora di San Benedetto – con il dovere di compierlo come servizio all’opera della creazione divina».

«Un grande progetto politico è come il passaggio di un torrente. Si fissa, prima di tutto, una direzione generale. Si prova poi la stabilità della prima pietra, quindi si avanza cautamente di pietra in pietra».

«Siamo tutti strumenti ben imperfetti di una Provvidenza che se ne serve per realizzare dei grandi disegni che ci sorpassano. Questa certezza ci obbliga a molta modestia, ma ci dà anche una serenità che non ci potrebbe dare la nostra esperienza personale».

Scriveva a papa Pio XII: «I carichi di un ufficio molto pesante mi fanno sentire ogni giorno l’insufficienza dei miei proprî mezzi ed il bisogno di grazie speciali. La benedizione che sollecito da Sua Santità sarebbe per me una garanzia ed un incoraggiamento particolarmente prezioso».