Partecipiamo

Partecipare ai referendum è un atto politico significativo. I motivi e i valori che lo giustificano si possono articolare su più piani.

Il voto è in primo luogo un diritto/dovere civico e di responsabilità democratica, uno strumento con cui ogni persona può contribuire in prima persona alle scelte fondamentali del Paese, un segno di cittadinanza attiva. Partecipare a un referendum rafforza il principio che la sovranità appartiene al popolo, come afferma l’articolo 1 della Costituzione.

Il referendum è una delle forme più alte di democrazia diretta, in cui non si eleggono rappresentanti, ma si esprime direttamente una volontà su una questione concreta. È un’occasione rara per intervenire senza mediazioni su temi rilevanti per la vita collettiva, come il lavoro, l’ambiente, la giustizia o i diritti civili.

Votare al referendum presuppone la necessità di informarsi su cosa si vota, cosa implica il Sì o il No, chi promuove e chi contesta i quesiti: è uno strumento per rafforzare una cultura politica critica e consapevole, necessaria per una democrazia matura.

Anche quando il quorum non viene raggiunto, il voto referendario può avere un impatto politico significativo, rappresentando un segnale forte di consenso o dissenso popolare. È un modo per esercitare pressione sui partiti e sulle istituzioni, costringendole ad ascoltare il corpo elettorale.

Per i più giovani il voto è un modo concreto per accostarsi alla vita pubblica, è uno strumento educativo, capace di alimentare il senso del bene comune, della corresponsabilità, della solidarietà e della libertà. Ogni voto è un’espressione di fiducia nel futuro democratico del Paese.

Nel merito dei quattro quesiti sui temi del lavoro dei referendum del prossimo fine settimana, abbiamo interpellato due esponenti sindacali che si trovano sui fronti differenti, come contributo per una maggiore consapevolezza nel voto. Il primo è di Igor Piotto, Segretario Camera del lavoro di Torino, il secondo è di Cristina Maccari Segretaria Usr Cisl Piemonte.

Le ragioni della CGIL

L’8 e 9 di giugno si voterà per cinque quesiti referendari ritenuti validi dalla Corte costituzionale.

I primi due quesiti riguardano i licenziamenti illegittimi: l’abrogazione delle norme restituisce alle lavoratrici e ai lavoratori il diritto a essere reintegrati e, nel caso di imprese sotto i 15 dipendenti, un indennizzo non vincolato a una soglia fissa (6 mensilità). Sono oltre 7 mln i lavoratori interessati da queste norme. L’abrogazione ribadisce il principio che l’allentamento dei vincoli al licenziamento (illegittimo) determina fratture sociali e non crea sviluppo. Solo sfruttamento.

Con il terzo quesito l’abrogazione ha l’obiettivo di vincolare il ricorso al contratto a termine a specifiche causali in modo da evitarne un utilizzo inappropriato e spregiudicato. Riguarda 2,7 mln di occupati, nel periodo 2004-2024 i contratti a termine sono passati da 1,9 a 3mln. Su un versante analogo di vulnerabilità sociale, nello stesso periodo i part-time sono passati da 1,9 a 3,5 mln: il part-time involontario investe prevalentemente il lavoro femminile (64%, Istat).

La sicurezza è parte della precarizzazione del lavoro. Nel 2024 abbiamo assistito a una media di oltre 3 morti sul lavoro al giorno: il “Si” al quarto quesito determinerebbe la responsabilità in solido dell’impresa appaltante per le condizioni contrattuali e per le condizioni di sicurezza sul lavoro lungo tutta la catena degli appalti e subappalti. Una misura che restituisce tutele e rafforza i meccanismi di regolarità e trasparenza.

L’abrogazione delle norme avrebbe le seguenti conseguenze.

  • Invertire una tendenza, determinata da oltre due decenni di interventi legislativi, che ha fortemente indebolito diritti e tutele con ricadute sulla condizione contrattuale e salariale degli occupati: in Italia il 30% delle lavoratrici e dei lavoratori è esposto al rischio di impoverimento lavorativo, soprattutto giovani, donne, lavoratori migranti (Istat, Rapporto annuale, 2024). È urgente avviare una riforma del mercato del lavoro che metta al centro la persona, la quale, al contrario di una “merce”, è titolare di diritti e libertà.
  • La diffusione della precarietà e di forme di sfruttamento intensivo ha innescato una competizione che indebolisce legami di solidarietà e dunque le possibilità di azione collettiva. L’estensione delle tutele nella condizione di lavoro avrebbe un effetto di sostegno e rafforzamento della contrattazione collettiva.
  • È necessario mettere in discussione un modello di impresa che, proprio perché basato sulla compressione del salario, rappresenta ormai un ostacolo allo sviluppo economico e alla modernizzazione del sistema produttivo.

Quanto sfruttamento può tollerare un sistema sociale prima di assistere a uno sfaldamento della coesione sociale? I referendum sono dunque un’opportunità di riscatto sociale, ma anche di affermazione degli istituti della democrazia, a partire dall’esercizio del diritto di voto.

Le ragioni della CISL

I quattro quesiti referendari sul lavoro rappresentano una modalità di azione sindacale che guarda al passato e che non solo non tiene in considerazione l’evoluzione del lavoro e della sua organizzazione, ma rischia di peggiorare le condizioni dei lavoratori, specie sul tema “bandiera” relativo ai licenziamenti individuali.

Il primo quesito propone di eliminare il contratto a tutele crescenti, quello che non si dice è che in questi dieci anni dall’entrata in vigore del provvedimento, sono intervenute numerose sentenze che hanno migliorato la norma e ora le casistiche in cui è prevista la reintegra sono molte di più e riguardano sia i licenziamenti per motivi economici sia disciplinari. Il Jobs Act prevede un’indennità fino a 36 mensilità mentre se passasse il “si” le mensilità sarebbero solo 24, ovvero quelle previste dalla Legge Fornero (perché non si tornerebbe all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori). Occorre infine considerare che nei 10 anni dall’entrata in vigore della riforma non è stato registrato un incremento dei licenziamenti illegittimi.

Il secondo quesito chiede di eliminare il limite massimo di 6 mensilità per l’indennizzo riconosciuto ai lavoratori licenziati illegittimamente dalle piccole imprese. La percentuale di imprese di piccole dimensioni nel nostro Paese (oltre 90%), impone un ragionamento complessivo. Tra l’altro l’abrogazione del tetto massimo, non garantirebbe il fatto che i giudici riconoscessero un importo superiore. È utile osservare che la norma è in vigore da quasi 60 anni, durante i quali il tema delle piccole imprese avrebbe già dovuto essere affrontato. Il referendum non permettere di affrontare con la necessaria complessità un tema così articolato.

Anche il terzo quesito, che vuole eliminare la possibilità di stipulare un contratto a termine senza causale per i primi 12 mesi, porta con se un forte rischio, quello di avere, a fronte delle maggiori rigidità del contratto a termine, l’applicazione di contratti ancora meno tutelanti (collaborazioni, partire Iva, ecc..). Nel Paese  si pone un grande problema di qualità del lavoro e delle tipologie contrattuali applicate.

La sicurezza sul lavoro, oggetto del quarto quesito, è un argomento che richiede di essere affrontato da numerosi punti di vista: a partire dalla cultura della sicurezza, dalla formazione di lavoratori e datori di lavoro, dall’incremento e miglioramento delle attività ispettive. Serve una riflessione approfondita e risposte concrete anche in termini normativi. Il quesito propone di estendere la responsabilità del committente (in larga parte già oggi prevista dalla normativa) anche rispetto ai rischi specifici (ad oggi esclusa) ma sul punto occorrerebbe porre una grande attenzione poiché se si pensa, ad esempio, ad attività delicate come la rimozione dell’amianto, affidate in appalto proprio per i rischi specifici, il rischio è che la modifica proposta sia non solo inefficace ma anche controproducente.