Maria Montanari: «nessuno ci ha regalato niente»

Questa affermazione ripeteva la nostra testimone durante i suoi interventi, soprattutto nelle scuole, ricordando in modo particolare il referendum del 2 giugno 1946.

Appare una figura particolare nella sua normalità, una normalità fatta di scelte di impegno per rispondere alle situazioni.

La vita

Maria Montanari nacque il 28 ottobre 1921 a Caprara di Campegine, in provincia di Reggio Emilia, nel cuore della bassa padana. La sua era una famiglia contadina, umile e laboriosa, inserita in un territorio che sarà, negli anni a venire, protagonista della Resistenza antifascista e della costruzione della Repubblica.

Fin da bambina Maria conobbe la fatica del lavoro, la disciplina del dovere quotidiano e il valore della solidarietà. Cresciuta in un contesto dove le condizioni di vita erano dure, ma la coscienza sociale forte, sviluppò una precoce attenzione per le ingiustizie e i diritti.

A soli 14 anni, iniziò a lavorare presso il calzificio Riva di Reggio Emilia, un ambiente femminile e operaio in cui la giovane cominciò a comprendere le dinamiche dello sfruttamento, della discriminazione, ma anche le potenzialità dell’organizzazione collettiva. La fabbrica fu per lei, come per tante donne dell’epoca, non solo luogo di fatica, ma anche di formazione politica e umana.

Con l’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca dell’Italia settentrionale, sentì con forza l’urgenza dell’azione. Scelse di aderire alla Resistenza, entrando a far parte delle Brigate Garibaldi. Assunse il nome di battaglia “Miscia”, con cui sarà conosciuta per tutta la vita. Il suo ruolo fu quello di staffetta, uno dei più rischiosi, ma anche fondamentali nella guerra partigiana: trasportava messaggi cifrati, armi, medicinali, cibo e indumenti per i combattenti. Si muoveva a piedi, in bicicletta o con mezzi di fortuna, spesso da sola e sotto falso nome. Doveva essere invisibile, ma determinata, pronta a reagire, a nascondersi, a fuggire.

In quei mesi di lotta seppe coniugare intelligenza, coraggio e tenacia. Fu testimone diretta della violenza nazifascista, dei rastrellamenti, delle fucilazioni, ma anche della nascita di un popolo libero, capace di riscattarsi con la propria dignità.

Con la fine della guerra e la proclamazione della Repubblica, Maria tornò alla vita civile con la stessa passione con cui aveva partecipato alla Resistenza. Il lavoro restò il suo campo di impegno: riprese la sua attività al calzificio, ma non da semplice operaia. Diventò una militante sindacale attiva, dapprima nel calzificio Riva, poi nel calzificio Bloch, entrambi luoghi simbolici del tessuto produttivo reggiano.

In quegli anni si impegnò nella CGIL, contribuendo all’organizzazione delle lavoratrici, alla difesa dei diritti salariali e alla promozione della parità tra uomini e donne. Era una figura autorevole, ascoltata e stimata, capace di unire fermezza e capacità di mediazione.

L’esperienza della Resistenza divenne per lei una lente con cui guardare la realtà: i diritti non erano dati una volta per tutte, ma andavano conquistati e difesi ogni giorno, con il dialogo, l’impegno e la partecipazione collettiva.

Negli anni successivi, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, Maria comprese l’importanza di trasmettere la memoria. Partecipò a incontri pubblici, assemblee, eventi commemorativi, ma soprattutto entrò nelle scuole, dove raccontava la sua storia ai ragazzi e alle ragazze con uno stile semplice, diretto e autentico.

Non amava la retorica né i discorsi celebrativi: parlava con il cuore, ma anche con la lucidità di chi sa che la libertà non è mai scontata. Ricordava spesso la gioia del referendum del 2 giugno 1946, quando per la prima volta le donne poterono votare, e l’emozione di sentirsi cittadina e non suddita.

Contribuì attivamente al progetto “Quante rose a coprire l’abisso” del Comune di Reggio Emilia, che raccoglie le biografie delle donne che hanno costruito la democrazia italiana.

Maria Montanari si spense nel 2020, alla soglia dei 99 anni. La sua morte fu commemorata da associazioni, istituzioni locali e da chi l’aveva incontrata almeno una volta.

Il commento

In un’Italia in cui la politica è spesso ridotta a spettacolo, conflitto o propaganda, la figura di Maria Montanari emerge come esempio raro e prezioso di coerenza, discrezione e impegno concreto. Staffetta partigiana, sindacalista, promotrice della cittadinanza attiva, Maria ha costruito la democrazia non con le parole, ma con i gesti. Non ha mai cercato i riflettori, ma li ha meritati pienamente per la forza silenziosa con cui ha attraversato il suo tempo.

L’etica dell’impegno

Chi l’ha conosciuta ne ricorda la dolcezza ferma, la chiarezza di pensiero, la passione civile e il profondo rispetto per ogni essere umano. Maria è stata non solo una combattente, ma una educatrice morale, capace di unire generazioni e valori.

Ha costruito la sua personalità sulla base di una profonda etica dell’impegno, della necessità di essere protagonisti, persone responsabili, per sé e per gli atri.

Un coraggio silenzioso

Maria Montanari rappresenta quel tipo di eroismo quotidiano e tenace che raramente occupa le prime pagine della storia, ma che ne costituisce l’ossatura morale. Non è stata solo una staffetta partigiana: è stata una testimone coerente della libertà, della dignità del lavoro, della partecipazione delle donne alla vita pubblica. In un tempo in cui l’Italia era attraversata da paura e violenza, ha scelto di non restare a guardare, ma di agire.

La politica come responsabilità personale e collettiva

La sua è una politica non urlata, ma vissuta. Non ha mai ricoperto importanti cariche istituzionali, ma ha fatto politica ogni giorno: organizzando il lavoro in fabbrica con criteri di giustizia, sostenendo i diritti delle lavoratrici, promuovendo il voto e la consapevolezza civile. È una figura che ci ricorda che la politica non si esaurisce nei partiti, ma vive dove si costruisce il bene comune, anche nel gesto più semplice.

Un femminismo concreto, radicato nel lavoro

Maria è stata una delle tante donne che hanno fatto la Resistenza, ma anche una delle pochissime che ha saputo trasformare quell’esperienza in impegno quotidiano nel mondo del lavoro. Ha saputo legare l’idea di emancipazione femminile non a slogan ideologici, ma alla realtà materiale delle operaie, delle madri, delle giovani donne che volevano un posto nella società con pari diritti. Il suo femminismo è artigiano, non teorico.

La fedeltà a una memoria attiva

La testimonianza di Maria Montanari è stata viva, esigente, politica. Ha continuato a parlare nelle scuole, nelle piazze, nelle fabbriche, perché sapeva che la memoria ha senso solo se diventa scelta, tensione, esercizio di libertà. In questo senso, il suo impegno ci interroga oggi: come tenere viva una memoria che non si piega alla nostalgia, ma che forma coscienze?

Un simbolo di coerenza

C’è una bellezza profonda nella sua lunga vita attraversata dalla fedeltà: alla Resistenza, al lavoro, alla giustizia sociale. Maria è il simbolo di una generazione che ha costruito democrazia a partire dal basso, spesso restando invisibile, ma senza mai arretrare. La sua figura può parlare ai giovani di oggi come un invito all’impegno sobrio, ma radicale.

Una vera testimone

Ricordare Maria Montanari non è solo un dovere verso la storia: è un atto politico nel presente. Perché ci sono persone che non smettono mai di esserci, perché ci sono battaglie che non fanno rumore, ma cambiano tutto. Perché la democrazia, oggi più che mai, ha bisogno di testimoni silenziosi, forti, coerenti, come Maria.

Il suo messaggio

Maria Montanari non è solo una figura storica, ma un paradigma di cittadinanza attiva, di giustizia concreta, di femminismo del fare, di coerenza tra pensiero e azione.

Oggi, la sua figura ci interroga più che mai. In un tempo segnato dalla frammentazione, dall’individualismo, dall’assuefazione all’ingiustizia, Maria ci ricorda che la democrazia si costruisce nei dettagli, nell’insistenza quotidiana, nel rifiuto dell’indifferenza. Ci invita a riscoprire la forza della costanza, della presenza, della fedeltà ai valori fondamentali anche, e soprattutto, quando non è facile o conveniente.

Ricordarla non è un atto di celebrazione, ma un’occasione per chiedersi: siamo ancora capaci di una militanza fatta di costanza, cura, ascolto, fedeltà ai valori più che agli schieramenti?

Le fonti

Per approfondire la figura e l’impegno di Maria Montanari, probabilmente sconosciuta a quasi tutti, esistono diverse fonti affidabili che ne raccontano la vita, il ruolo nella Resistenza e l’attività sindacale nel dopoguerra.

Il Comune di Reggio Emilia nel suo sito ufficiale le dedica una pagina nell’ambito del progetto “Quante rose a coprire quell’abisso”, che raccoglie testimonianze di donne protagoniste della Resistenza. La pagina offre una panoramica sulla sua vita, dal lavoro in fabbrica all’impegno partigiano. La sezione locale della CGIL ha pubblicato un ricordo dettagliato di Maria Montanari, evidenziando il suo contributo come sindacalista e il suo ruolo nella promozione dei diritti delle lavoratrici. L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia della sezione di Reggio Emilia conserva documenti e testimonianze sulla vita e l’impegno di Maria Montanari.

Istoreco (Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Reggio Emilia) conserva documenti, testimonianze e materiali d’archivio relativi alla Resistenza nella provincia di Reggio Emilia, inclusi quelli riguardanti Maria Montanari.

Un articolo su Reggionline ripercorre la vita di Maria Montanari, sottolineando episodi significativi come la liberazione di 15 prigionieri durante l’occupazione tedesca, ottenuta con un gesto di coraggio e astuzia. Un necrologio su 24 Emilia la ricorda, evidenziando il suo impegno nella narrazione delle esperienze vissute durante la Resistenza, spesso condivise con studenti e in convegni.