Educazione finanziaria, ma di quale economia?

L’educazione finanziaria arriva nelle scuole italiane. Infatti il Consiglio dei ministri di martedì 11 aprile ha introdotto tale insegnamento all’interno dell’educazione civica. Il testo inserisce il principio della «partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale economica e sociale delle comunità» e quello del «diritto alla salute, al benessere della persona e all’educazione finanziaria, con particolare riguardo alla finanza personale, al risparmio e all’investimento».

Le linee guida dovranno essere indicate «d’intesa con la Banca d’Italia e la Consob e sentite le associazioni maggiormente rappresentative degli operatori e degli utenti bancari e finanziari», così come dovrà essere approvato un piano triennale di attività e sarà necessario sottoscrivere accordi per «promuovere la cultura dell’educazione finanziaria».

L’iniziativa appare lodevole, poiché la cultura economica risulta oggi di particolare importanza, ma presenta alcuni importanti elementi problematici e ha sollevato perplessità nel mondo della scuola.

Proprio in attesa delle linee guida, ci permettiamo nel nostro piccolo di offrire alcune riflessioni e una proposta.

L’educazione civica

Dal settembre 2020 la disciplina trasversale interessa tutti i gradi scolastici e ruota intorno a tre ambiti tematici: costituzione, diritto nazionale e internazionale, legalità e solidarietà; sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio; cittadinanza digitale. Ora si indica un quarto argomento: l’educazione finanziaria.

Lo scopo di fondo della materia dovrebbe essere contribuire alla formazione di studentesse e studenti come cittadine e cittadini responsabili, maturando una coscienza civica.

Mercato e neoliberismo

Come appare dalle prime informazioni e dal portale Tutti per uno economia per tutti, promosso dalla Banca d’Italia, l’approccio è collegato al risparmio, agli investimenti e all’uso del denaro, argomenti degni di essere affrontati, utili sul piano concreto, meno su un altro più profondo: si dà infatti per scontato che il paradigma neoliberista, e le logiche del mercato a esso collegate, siano l’unica prospettiva e l’istruzione deve essere subalterna a tutto ciò.

A nostro parere la scuola è indispensabile sia, invece, un luogo dove si assimilino strumenti critici per la conoscenza di sé e della realtà che ci circonda.

Il tema di fondo diventa allora a quale economia ci si riferisce.

«Questa economia uccide»

Tale è il giudizio espresso più volte da papa Francesco a partire dalla Evengelii gaudium del 2013, ampiamente approfondito in una lunga intervista contenuta nel libro omonimo pubblicato nel 2015 e ripreso in altre encicliche ed esortazioni apostoliche, nonché in tanti discorsi. A giudizio di Bergoglio di disuguaglianza e povertà non si parla abbastanza e, soprattutto, poco si agisce per contrastarle, si ritengono sufficienti un po’ di carità e di filantropia insieme a buoni sentimenti che pacificano la coscienza. Non bisogna spingersi fino a mettere in discussione il “sistema” economico e finanziario dominante. Il suo giudizio è netto: tale impianto non funziona ed è necessario perseguire un differente paradigma.

Un’altra economia è possibile

Quindi il Papa ha lanciato da alcuni anni un percorso denominato The economy of Francesco per una riflessione e una proposizione che miri ad attivare un processo di profondo cambiamento globale per un’economia più giusta, fraterna, inclusiva e sostenibile. Si tratta di perseguire un modello in grado di superare i problemi strutturali dell’attuale economia mondiale, che coniughi la crescita con l’equità sociale, la dignità del lavoro, i diritti delle generazioni future, la salvaguardia dell’ambiente.

Il riferimento a Francesco d’Assisi (la denominazione of Francesco non si riferisce a Bergoglio, bensì al santo) non è casuale. Sono stati proprio i suoi discepoli ad avviare una prima riflessione sull’attività economica in epoca moderna, intorno al quindicesimo e sedicesimo secolo, che pone al centro la persona umana e non solo il profitto.

I riferimenti di una tale visione dell’economia possono essere così riassunti. Chi esercita l’attività economica deve farlo per il bene comune, in modo “inclusivo”, operando non solo per sé, ma anche per altri; è necessario perciò investire allo scopo di allargare la dimensione delle proprie attività, quindi il capitale non deve restare ozioso o essere consumato da chi lo possiede, ma deve “girare” per produrre posti di lavoro, reddito, benessere anche per altri, e in tal modo l’agente economico è legittimato come “bene-fattore” della comunità perché l’aiuta a prosperare ed è giusto che utilizzi per sé parte del risultato delle sue fatiche. Ma non basta, non tutti possono essere inclusi nel circuito del lavoro, ad esempio gli anziani e i minori, perciò il bene comune richiede che queste persone vengano aiutate, per cui una parte delle risorse prodotte va destinata all’assistenza e al sostegno, vale a dire al welfare; infine, un’altra parte deve essere destinata alle opere pubbliche. Sulla base di tali principi le città italiane divennero un esempio e motori di progresso e ricchezza, insegnando al resto dell’Europa e poi del mondo come costruire un’economia dinamica e sostenibile.

Due differenti prospettive

Nel 1700 queste convinzioni furono elaborate e sistematizzate in un filone della moderna economia che in quei decenni si sviluppò. La prima cattedra di economia nacque infatti nell’Università di Napoli per opera di Antonio Genovesi, il quale espresse il suo pensiero nel volume Lezioni di commercio o sia di economia civile del 1765, considerata una delle prime opere scientifiche in materia economica. Il suo scopo era perseguire la «pubblica felicità» incrementando la ricchezza e il benessere sociale tramite il progresso e una corretta visione dell’economia. Questa prevede che il mercato, l’impresa e in generale tutti gli aspetti economici, devono essere anche luoghi di reciprocità, gratuità, fraternità e amicizia. L’economia deve essere civile, il mercato occasione di vita comune, di mutua assistenza.

Pochi anni dopo si sviluppò la riflessione intorno a una diversa prospettiva, la cosiddetta economia politica, che affondava le radici in concetti differenti: l’utilitarismo e l’individualismo. Il valore di un bene viene ridotto alla sua utilità, che deriva dal suo consumo e la massimizzazione di tale utilità è considerata il principio che guida le scelte individuali. Dei problemi che possono sorgere sul piano sociale non bisogna preoccuparsi, poiché interviene la «mano invisibile» del mercato per gestirli.

Non c’è dubbio che l’attuale sistema economico, sviluppato su tali basi, abbia conseguito importanti risultati, come la crescita in molte parti del mondo che ha inciso positivamente nella vita di centinaia di milioni di persone, ma permangono gravi problematiche, come le estreme disuguaglianze denunciate, ad esempio, dai rapporti Oxfam.

Quale economia

Purtroppo il predominio del capitalismo liberista ha reso le istituzioni economiche e politiche, e la mentalità comune, incapaci di concepire l’economia, la finanza e l’impresa in modo differente dalla prospettiva abitualmente accettata.

Ma ci sono visioni ispirate alla concezione francescana e dell’economia civile.

Direttamente a quest’ultima si rifà la Scuola di Economia Civile, che propone «un modo nuovo di guardare all’uomo, al lavoro, all’ambiente», e all’impresa «come luogo in cui si realizza pienamente la nostra umanità»; per la quale «è civile, o non è economia».

Un’altra proposta è quella dell’Economia di Comunione, improntata alla gratuità e alla reciprocità, a una cultura del dare, del dono, inteso non come regalo, ma, appunto, come reciprocità, condivisione, relazione, comunità.

Vi sono poi diversi modelli e varie denominazioni, come il sistema delle economie solidali, le economia sociali di mercato, il cosiddetto “capitalismo giusto”, l’economia verde, la democrazia economica e altri. Molte esperienze alla ricerca di alternative sono presenti nel mondo e nel nostro Paese, come la Rete Italiana per l’Economia Solidale, tante cooperative e imprese innovative.

Sarebbe importante che la nuova disciplina proponesse anche prospettive economiche alternative a quella dominante, in linea con le indicazioni contenute nella Costituzione: se la democrazia è un elemento centrale, perché non deve permeare anche l’economia, la finanza e l’impresa?