Giorgio Perlasca: la banalità del bene

Sono passati trent’anni dalla scomparsa di Giorgio Perlasca. Nel 1991, un anno prima della sua morte, il giornalista Enrico Deaglio pubblicò il libro che ha contribuito a diffondere in Italia la figura di questo straordinario personaggio, pur nella sua normalità. Il titolo del volume è quello che abbiamo scelto anche per la nostra pagina: La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca.

Per molto tempo, infatti, non si seppe nulla di lui, né di come si adoperò nel periodo conclusivo della Seconda guerra mondiale per salvare tanti ebrei ungheresi.

Promossa dal figlio Franco e da alcune personalità del mondo culturale è attiva una fondazione che porta il suo nome. Dal sito, che ringraziamo per la collaborazione, traiamo la biografia del nostro testimone.

La vita

Giorgio Perlasca nasce a Como il 31 gennaio 1910 (la famiglia era originaria di quella città). Il padre, Carlo, nel 1906 si era laureato in Giurisprudenza alla Università di Padova e sempre a Padova nello stesso anno si era sposato iniziando a lavorare nel campo assicurativo. Nel 1913 era diventato segretario comunale a Carrara San Giorgio in provincia di Padova (ora Due Carrare) sino al 1922; dal 1922 divenne segretario comunale a Maserà di Padova sino alla sua morte nel 1938.

Negli anni Venti aderisce con entusiasmo al fascismo, in particolar modo alla versione dannunziana e nazionalista. Tanto che per sostenere le idee di D’Annunzio litiga pesantemente con un suo professore che aveva condannato l’impresa di Fiume, e per questo motivo è espulso per un anno da tutte le scuole del Regno.

Coerentemente con le sue idee, parte come volontario prima per l’Africa Orientale e poi per la Spagna, dove combatte in un reggimento di artiglieria al fianco del generale Franco.
Tornato in Italia al termine della guerra civile spagnola, entra in crisi il suo rapporto con il fascismo. Essenzialmente per due motivi: l’alleanza con la Germania contro cui l’Italia aveva combattuto solo vent’anni prima e le leggi razziali entrate in vigore nel 1938 che sancivano la discriminazione degli ebrei italiani. Smette perciò di essere fascista, senza però mai diventare un antifascista.

Scoppiata la Seconda guerra mondiale, è mandato come incaricato d’affari con lo status di diplomatico nei paesi dell’Est per comprare carne per l’Esercito italiano.

L’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) lo coglie a Budapest: sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al Re rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, ed è quindi internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici.

Quando i tedeschi prendono il potere (metà ottobre 1944) affidano il governo alle Croci Frecciate, i nazisti ungheresi, che iniziano le persecuzioni sistematiche, le violenze e le deportazioni verso i cittadini di religione ebraica.

Si prospetta il trasferimento degli internati diplomatici in Germania. Approfittando di un permesso a Budapest per visita medica Perlasca fugge.

Si nasconde prima presso vari conoscenti, quindi grazie a un documento che aveva ricevuto al momento del congedo in Spagna trova rifugio presso l’Ambasciata spagnola, e in pochi minuti diventa cittadino spagnolo con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca, e inizia a collaborare con Sanz Briz, l’Ambasciatore spagnolo che assieme alle altre potenze neutrali presenti (Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano) sta già rilasciando salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica.

A fine novembre Sanz Briz deve lasciare Budapest e l’Ungheria per non riconoscere de jure il governo filo nazista di Szalasi che chiede lo spostamento della sede diplomatica da Budapest a Sopron, vicino al confine con l’Austria.

Il giorno dopo, il Ministero degli Interni ordina di sgomberare le case protette perché é venuto a conoscenza della partenza di Sanz Briz.

È qui che Giorgio Perlasca prende la sua decisione: «Sospendete tutto! State sbagliando! Sanz Briz si è recato a Berna per comunicare più facilmente con Madrid. La sua è una missione diplomatica importantissima. Informatevi presso il Ministero degli Esteri. Esiste una precisa nota di Sanz Briz che mi nomina suo sostituto per il periodo della sua assenza».

È creduto e le operazioni di rastrellamento vengono sospese.

Il giorno dopo su carta intestata e con timbri autentici compila di suo pugno la sua nomina a rappresentante diplomatico spagnolo e la presenta al Ministero degli Esteri dove le sue credenziali vengono accolte senza riserve.

Nelle vesti di diplomatico regge pressoché da solo l’Ambasciata spagnola, organizzando l’incredibile “impostura” che lo porta a proteggere, salvare e sfamare giorno dopo giorno migliaia di ungheresi di religione ebraica ammassati in “case protette” lungo il Danubio.

Li tutela dalle incursioni delle Croci Frecciate, si reca con Raoul Wallenberg, l’incaricato personale del Re di Svezia, alla stazione per cercare di recuperare i protetti, tratta ogni giorno con il Governo ungherese e le autorità tedesche di occupazione, rilascia salvacondotti che recitano “parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo”.

Li rilascia utilizzando una legge promossa nel 1924 da Miguel Primo de Rivera che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita (di antica origine spagnola, cacciati alcune centinaia di anni addietro dalla Regina Isabella la Cattolica) sparsi nel mondo.
La legge Rivera è dunque la base legale dell’intera operazione organizzata da Perlasca, che gli permette di portare in salvo 5218 ebrei ungheresi.

Dopo l’entrata in Budapest dell’Armata Rossa, Giorgio Perlasca viene fatto prigioniero, liberato dopo qualche giorno, e dopo un lungo e avventuroso viaggio per i Balcani e la Turchia rientra finalmente in Italia.

Da eroe solitario diventa un “uomo qualunque”: conduce una vita normalissima e chiuso nella sua riservatezza non racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, la sua storia di coraggio, altruismo e solidarietà.

Grazie ad alcune donne ebree ungheresi, ragazzine all’epoca delle persecuzioni, che attraverso il giornale della comunità ebraica di Budapest ricercano notizie del diplomatico spagnolo che durante la Seconda guerra mondiale le aveva salvate, la vicenda di Giorgio Perlasca esce dal silenzio.

Le testimonianze dei salvati sono numerose, arrivano i giornali, le televisioni, i libri, e lo stesso Perlasca si reca nelle scuole per raccontare quel che aveva compiuto. Non certo per protagonismo, ma proprio perché ritiene necessario rivolgersi alle giovani generazioni affinché tali follie non abbiano mai più a ripetersi.

Giorgio Perlasca è morto il 15 agosto del 1992. È sepolto nel cimitero di Maserà a pochi chilometri da Padova. Ha voluto essere sepolto nella terra con al fianco delle date un’unica frase: «Giusto tra le Nazioni», in ebraico.

Il commento

La vita mette sempre di fronte a delle scelte e il coraggio autentico si manifesta optando per il bene. Non è necessario essere degli eroi, si tratta di essere “giusti”, con se stessi e il prossimo. Un racconto della tradizione ebraica afferma che «Esistono sempre al mondo trentasei Giusti, nessuno sa chi sono e nemmeno loro sanno d’esserlo; ma quando serve, escono allo scoperto e si prendono i destini del mondo sulle loro spalle e questo è uno dei motivi per cui Dio non distrugge il mondo». Certamente Giorgio Perlasca nell’inverno tra il 1944 e il ’45 ha scelto il bene ed è stato un Giusto.

Il silenzio

Egli salvò migliaia di ebrei ungheresi, come abbiamo visto, ma per oltre 40 anni la sua storia rimase nascosta, fino a che nel 1988 un gruppo di donne decisero di mettersi alla ricerca di colui che le aveva salvate. La sua riservatezza non è arrogante, è dovuta alla semplice consapevolezza di non aver fatto alcunché di straordinario, che tutti si sarebbero comportati così nella sua situazione. Ma la storia e l’esperienza ci insegnano che non è così. Il coraggio, l’altruismo, il rischiare per gli altri non sono scontati, necessitano di motivazioni profonde e intelligenza, quella che Giorgio Perlasca ha utilizzato nella sua finzione diplomatica e nelle azioni per salvare le vite. Un elemento particolare è che egli non riferisce mai le sue azioni a ragioni legate ad alti valori morali, religiosi, a ideali politici o altro: semplicemente era profondamente giusto così.

Un uomo libero

La figura di Perlasca ha dei lati discutibili, che hanno contribuito a porlo in un limbo dimenticato, poiché era giudicato un problema da tutte le culture dell’epoca postbellica. Per chi apparteneva alla destra era un oppositore delle leggi razziali, aveva ripudiato l’alleanza con la Germania nazista e non aveva aderito alla Repubblica di Salò; per i comunisti era di destra, avendo avuto la tessera del partito fascista, i democristiani non lo presero in alcuna considerazione.

Lui mai rinnegò le sue scelte, inserite, però, in un percorso evolutivo di uomo libero, dal carattere forte, per niente incline ai compromessi; di fronte agli eventi ha sempre giudicato in maniera autonoma, secondo la propria etica, ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Certo, sia l’adesione al fascismo sia la sua partecipazione alla guerra d’Etiopia e a quella civile spagnola lasciano dubbiosi, ma sono largamente superate dalla presa di distanza dal regime e da come operò in seguito.

Quando riuscì a tornare in Italia trasmise un primo promemoria per evitare eventuali imputazioni dal governo spagnolo e poi un memoriale dettagliato sulle attività svolte, consegnato al governo italiano e all’ambasciata spagnola. Scrisse anche all’ambasciatore che aveva sostituito, il quale lo avvertì di non aspettarsi riconoscimenti. Così fu: i suoi interlocutori istituzionali, gli unici ai quali comunicò i fatti di Budapest, lo ignorarono, probabilmente per ragioni politiche, diplomatiche o per poca attenzione.

In ogni caso nessuno aiutò lui per le difficoltà incontrate nel ritorno in Italia e ricevette solo poco prima di morire il sussidio previsto dalla legge Bacchelli, un fondo a favore di cittadini illustri che versino in stato di particolare necessità, i quali possono così usufruire di contributi vitalizi utili al loro sostentamento.

Il coraggio e l’intelligenza

Il suo carattere forte e determinato fu certo alla base della risolutezza con la quale affrontò i pericoli costanti delle sue iniziative volte a salvare tante vite. Budapest era occupata dai tedeschi e l’aver inventato per sé il finto ruolo di ambasciatore spagnolo lo esponeva all’enorme rischio di essere scoperto in qualsiasi momento. Non solo, possedendo un visto diplomatico, vero, avrebbe potuto lasciare l’Ungheria e tornare in patria in qualsiasi momento, ma non lo fece, proprio per impegnarsi nel compito che si era prefissato. Ancora, per comprare il cibo ai rifugiati nelle case protette spese tutti i suoi risparmi.

Utilizzò intelligenza e una certa dose di astuzia per raggirare i gerarchi nazisti e molto coraggio per imporsi nelle continue discussioni con loro allo scopo di impedire la cattura degli ebrei perseguitati.

Un esempio

L’esperienza di Giorgio Perlasca è certo una notevole dimostrazione che volontà, determinazione e capacità possono davvero molto. Non è necessario essere persone straordinarie per compiere azioni straordinarie, è sufficiente essere donne e uomini comuni che fanno la cosa giusta, cioè occuparsi degli altri.

Un certo stereotipo italiano ci dipinge come codardi, opportunisti, egocentrici e furbastri, l’esempio del nostro testimone è l’esatto opposto e può farci sentire fieri di appartenere al paese che gli ha dato i natali.

Le fonti

Il portale della Fondazione Giorgio Perlasca è una miniera di informazioni e approfondimenti sulla sua figura. Nella pagina dedicata ai documenti è consultabile il materiale prodotto dal finto diplomatico.

Ricca è la bibliografia riportata dal sito. Oltre al libro ricordato in apertura sono citati: L’impostore, firmato dallo stesso protagonista; Giorgio Perlasca, un italiano scomodo di Dalbert Hallenstein e Carlotta Zavattiero;, Giorgio Perlasca, Un uomo comune con testi di Marco Sonseri, disegni di Ennio Bufi e colori di Mirka  Andolfo;  L’eroe invisibile di Luca Cognolato e Silvia Del Francia dedicato ai più giovani; La musica del silenzio e Giorgio Perlasca un Giusto tra le Nazioni degli stessi autori; Giorgio Perlasca di Matteo Mastragostino  e Armando Miron Polacco; Il cavaliere delle stelledi Luca Cognolato, Silvia Del Francia, illustrato da Fabio Sardo; I miracoli esistono – storia di Giorgio Perlasca di Sara Rattaro; Gli angeli di Perlasca di Massimiliano Santini; Il silenzio del Giusto di Fabio Paci; I novanta giorni di Giorgio Perlasca, salvatore di ebrei di Teresio Bosco. Una citazione particolare merita infine Giorgio Perlasca – Antieroe “Giusto delle Nazioni”, edito in occasione dell’inaugurazione del “Luogo della Memoria” nel parco Giorgio Perlasca a Cernobbio, il 4 novembre 2001: una ricerca compiuta dagli alunni della classe 3 A della Scuola Media “Walt Disney” di Maslianico.

La Fondazione ha realizzato due DVD dal titolo Il silenzio del Giusto, contenente la trasmissione televisiva Mixer del 1990 che fece conoscere al pubblico italiano la figura di Giorgio Perlasca,  il promo di 15 minuti del film Tv Perlasca un eroe italiano e un backstage con interviste a regista e attori sul set a Budapest; e La storia maestra di vita, l’esempio di Giorgio Perlasca che comprende  spezzoni di una intervista rilasciata  nel 1990 da Giorgio Perlasca per il Museo dell’Olocausto di Washington, interviste a tre salvati, con il coordinamento storico/didattico di Piero Angela sull’importanza dei “Giusti”.

Il 28 e 29 gennaio 2002, in coincidenza del Giorno della Memoria istituito da una recente legge in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico, RaiUno in prima serata ha trasmesso il film Perlasca. Un eroe italiano che ha fatto conoscere al vasto pubblico la sua straordinaria figura, avvalendosi di un cast e una sceneggiatura di rilievo. Dato il successo ottenuto, il film è stato proiettato in molti paesi.

Anche il teatro si è occupato di lui, sia con spettacoli quali Il magnifico impostore – Giorgio Perlasca, nel quale lo spettatore è provocato dall’interrogativo «Che cosa avrebbe fatto lei al mio posto», e Il coraggio di dire di no, sia con un musical dal titolo Unico corpo, il balletto Jorge per 45 giorni e il recital I sommersi e i salvati.

In rete si trovano molti video sul nostro testimone, attraverso i quali è possibile vederlo e ascoltare la sua voce.

La Fondazione mette a disposizione due mostre, una antologica dal titolo Il silenzio del giusto e una fotografica denominata Budapest – Sulle orme di Giorgio Perlasca, e organizza per le istituzioni scolastiche progetti formativi, incontri e dibattiti dedicati alle giovani generazioni, nonché una speciale gita scolastica a Budapest sulle orme di Giorgio Perlasca. Sempre la Fondazione organizza ogni anno, con interlocutori pubblici e privati, una serie di iniziative, il cui calendario è consultabile sul suo portale; sono poi a disposizione un gruppo su Facebook e un canale YouTube.

Le onorificenze

Una volta emersa la vicenda, Giorgio Perlasca ricevette numerose onorificenze, a cominciare da Israele che, concedendogli la cittadinanza onoraria, nel 1989 lo ha proclamato Giusto tra le Nazioni invitandolo a Gerusalemme a piantare nel Giardino dei Giusti l’albero che porta il suo nome.

A ruota seguirono altri paesi: l’Italia gli ha conferito la Medaglia d’Oro al Valor Civile e il titolo di Grande Ufficiale della Repubblica; l’Ungheria gli ha assegnato la massima onorificenza nazionale, la Stella al Merito, durante una sessione speciale del Parlamento; la Spagna, l’onorificenza di Isabella la Cattolica; gli Stati Uniti nel 1990 lo invitarono a posare la prima pietra del Museo dell’Olocausto di Washington.

Innumerevoli sono anche i riconoscimenti di associazioni e fondazioni private, così come in moltissime città italiane vi sono vie e piazze, giardini e parchi, plessi scolastici che portano il suo nome, come pure busti, targhe e alberi che lo ricordano.

I giusti delle nazioni

Negli anni ’60 il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, lo Yad Vashem, avviò un progetto mondiale per assegnare il titolo di “Giusti fra le Nazioni” ai non ebrei che rischiarono le loro vite per salvare gli ebrei durante la Shoah agendo disinteressatamente.

L’assegnazione del titolo dei Giusti e gli alberi piantati nel Viale dei Giusti fra le Nazioni hanno ricevuto attenzione mondiale e lo stesso concetto di “Giusto fra le Nazioni” è diventato un simbolo importante e universale.

I Giusti, sono quegli uomini che hanno saputo individuare il male e hanno rischiato la loro vita per salvare delle altre vite minacciate da un progetto totalizzante di tipo politico, sociale o religioso.

A ciascuno di questi uomini lo Yad Vashem ha dedicato un albero nel “Giardino dei Giusti delle Nazioni”. Uno di questi porta il nome di Giorgio Perlasca.

Alcune citazioni

Come tradizione concludiamo riportando alcune frasi del nostro testimone.

«C’era della gente che era in pericolo di morire e bisognava fare qualche cosa. Avendo la possibilità di farlo, l’ho fatto.»

«Tutti lo sapevano, da quattro o cinque anni. Tutti lo sapevano. Lo sapevamo noi! Io e mia moglie l’abbiamo visto a Belgrado, abbiamo cominciato a vederlo a Belgrado. Nel 1941.»

«Mi era arrivata la voce dai primi di gennaio che gli ultranazisti ungheresi volevano rastrellare tutti gli ebrei del ghetto internazionale per portarli al ghetto comune, chiuderli dentro, dare fuoco al ghetto, e uccidere quelli che tentavano di scappare. C’era già un muro intorno. Io non credevo a una cosa del genere perché mi sembrava un’enormità, un’atrocità enorme. Non ci credevo. Però, una bella mattina, ho visto passare una colonna di ebrei […] portati verso il ghetto che era lì a trecento metri. Ho domandato chi erano, e mi hanno detto che erano i portoghesi, ebrei ungheresi protetti dalla legazione del Portogallo. Durante la notte – credo le due di notte – era venuto in legazione un inviato della legazione portoghese: mi chiedevano che assumessi la protezione degli interessi portoghesi perché lui non ce la faceva più. Quando la mattina ho visto passare questa colonna di ebrei ungheresi protetti dalla legazione portoghese, ho cominciato a capire che qualcosa stava succedendo. E così ho scritto una lettera a questo ministro Vajna, dicendo che ho sentito queste voci e sono sicuro che lui, come ministro dell’interno e responsabile civile e militare della capitale assediata, non avrebbe permesso una cosa del genere. Quello non ha risposto. Allora […] mi sono presentato lì dove lui aveva la sua sede, nel sotterraneo del municipio di Budapest, che è un grandioso edificio, con un sotterraneo spazioso con uffici, e lì ho trovato Wallenberg, lo svedese, e Zürcher lo svizzero, ai quali ho detto “adesso io vado dentro e poi vi saprò dire”. Sono andato da questo signore, il quale mi ha detto chiaro e tondo che lui aveva intenzione di fare una cosa del genere. Io ero sbalordito. Pensavo dentro di me: “ma questo qui proprio sta diventando matto, lui è ministro degli interni, è responsabile civile e militare della capitale assediata, come fa a pensare di fare una strage del genere?”. Penso che ci fossero dentro nel ghetto sessantamila [prigionieri], più trentamila che venivano dalle case protette, insomma: si trattava di ammazzare un centinaio di migliaia di persone, oltre che distruggere la parte storica della capitale.»

«Un colonnello della Honvéd, ossia dell’esercito ungherese, mi si è avvicinato e ha voluto che andassi a vedere giù sulla riva del Danubio la neve che era tutta macchiata di sangue. Lì erano stati ammazzati, durante la notte, degli ebrei. Per il colpo alla nuca che ricevevano, cadevano dentro nel Danubio. Questo ufficiale, ha detto che l’esercito non ha nessuna responsabilità e che sono stati i Nyilask, ossia i nazisti ungheresi. Allora gli ho detto: “caro colonnello, l’esercito, in qualsiasi parte del mondo, è un’istituzione per la difesa interna ed esterna, e deve difendere i cittadini dai soprusi anche all’interno”.»

«È stato duro. Perché sono stato avvisato la mattina presto che quello lì partiva. Sono uscito di casa e sono andato nella zona del quartiere internazionale. Camminavo, e a un bel momento ho visto che volevano portarmi via i protetti della strada Légrády Károly numero 33. Mi sono opposto e ho raggiunto un accordo con l’ufficiale di polizia di andare nel parco dove c’era lo stato maggiore della razzia. Non sapendo che cosa dire – perché dicevano che il Sanz Briz era scappato e di conseguenza non esisteva più legazione – ho detto: “ma come non esiste più legazione? Io sono il legale sostituto! Sanz Briz è andato a Berna per incontrarsi con i colleghi di altre nazioni, la bandiera è sempre fuori, di conseguenza mi meraviglio! Questi sono i miei documenti”. Avevo il passaporto e la tessera diplomatica.»

«Non esiste un antisemitismo in Italia. Esistono dei ragazzacci che non sanno cosa fare e fanno anche di queste manifestazioni crocefrecciate e cose del genere. Io dagli italiani ho avuto sempre delle felicitazioni e congratulazioni.»

«Vorrei che i giovani si interessassero a questa mia storia unicamente per pensare, oltre a quello che è successo, a quello che potrebbe succedere e sapere opporsi, eventualmente, a violenze del genere.»

«Ma lei, avendo la possibilità di fare qualcosa, cosa avrebbe fatto, vedendo uomini, donne e bambini massacrati senza un motivo se non l’odio e la violenza?»

«[Gli ebrei] avrebbero dovuto andare, secondo gli accordi, a lavorare nelle fabbriche. Sennonché questo non era vero, venivano deportati per essere mandati nei campi. E tutti lo sapevano. Tutti. Le autorità, i governi di qualsiasi parte del mondo, sapevano. Ossia: governi con le loro ambasciate, legazioni, servizi di spionaggio, e via di questo passo.»

«Io credo di aver fatto qualcosa di normale perché penso che nella mia situazione chiunque avrebbe fatto la stessa cosa. Non posso immaginare che ci sarebbe stata una persona, al mio posto, che avrebbe rifiutato di farlo.»

«Avendo fatto il governo israeliano un comunicato, […] mi trovavo nel solito Levico, e i giornali sono corsi assieme alla televisione a parlarmi. Insomma, han voluto conoscere. Anche quello che non conoscevo io.»