Dmitrij Muratov: un Nobel alla stampa libera

Le felicitazioni del Cremlino al giornalista russo, a seguito della notizia dell’attribuzione del premio Nobel per la pace lo scorso 7 ottobre, appaiono oggi una farsa tragica. Ma è avvenuto proprio così. Il direttore di Novaja Gazeta, il più importante periodico indipendente russo, fortemente critico nei confronti del sistema di potere del suo paese e che ha interrotto le pubblicazioni a causa della guerra in Ucraina, ha ricevuto il plauso del portavoce di Putin: «Noi possiamo congratularci con Dmitri Muratov, egli lavora costantemente seguendo i suoi ideali, è devoto ai suoi ideali, ha talento, ha coraggio e naturalmente si tratta di un alto riconoscimento, noi ci congratuliamo con lui».

Come ricordato, da qualche settimana il giornale non viene diffuso a causa delle normative promulgate dal governo russo per impedire un’informazione seria e libera sul conflitto ucraino.

Il 7 aprile, poi, la foto che lo ritrae cosparso di vernice rossa ha fatto il giro del mondo.

La vita

Dmitry Andreyevich Muratov è nato nella città di Kuibyshev, ora chiamata Samara, il 30 ottobre 1961. Dalle poche notizie biografiche si sa che da giovanissimo sognava di diventare un fotografo, poi decise di dedicarsi al giornalismo, ma all’università della sua città non era presente una facoltà che preparasse alla professione per cui si iscrisse a filologia. Da studente lavorò part time in una fabbrica come trasportatore e nel giornale giovanile regionale Volzhsky Komsomolets.

Nel 1983, dopo essersi laureato e sposato, il PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) ritenne che il giovane giornalista avrebbe dovuto collaborare con un giornale di partito, o, in alternativa prestare il servizio militare nell’Armata Rossa. Scelse questa seconda opzione e rimase due anni nell’esercito specializzandosi nella sicurezza delle apparecchiature di comunicazione.

Quando nel 1985 terminò la leva era l’alba della perestrojka, il complesso di riforme politiche, sociali ed economiche avviate dall’allora segretario del PCUS Michail Gorbačëv e dalla dirigenza sovietica allo scopo di «riorganizzare», tale è il significato del termine russo, il Paese verso uno stato di diritto socialista, e che ebbe come esito finale la dissoluzione del regime sovietico in Russia e la caduta dei governi degli altri paesi dell’est europeo.

Muratov riprese il mestiere di giornalista e assunse inizialmente l’impiego di corrispondente del Volžsky Komsomolets, destando un’ottima impressione nei superiori che lo inserirono nella redazione della Komsomolskaja Pravda, il quotidiano organo ufficiale dell’organizzazione giovanile del PCUS. Di questi anni Muratov ricorda il valore della squadra dei giornalisti, la qualità dell’informazione e la diffusione che raggiunse 22 milioni di copie. Dopo a dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 il quotidiano proseguì l’attività, ovviamente con una linea editoriale differente. Nel 1992 emersero però due visioni del giornale: una parte dei giornalisti riteneva che questo dovesse rimanere una fonte d’informazione indipendente, altri che la pubblicazione avrebbe dovuto portare soprattutto introiti economici puntando su una larga diffusione grazie a un taglio popolare e scandalistico. Prevalse questa seconda linea e l’esito fu che alcuni giornalisti lasciarono il giornale e registrarono nel 1993 una nuova testata intitolata Novaja Gazeta, della quale Muratov divenne vice direttore. L’obiettivo era di creare una pubblicazione che fosse «una fonte onesta, indipendente e ricca» per i cittadini russi conducendo indagini approfondite su questioni relative ai diritti umani, alla corruzione e all’abuso di potere. La redazione iniziò a lavorare in due stanze con altrettanti computer, una stampante e nessun stipendio per i dipendenti. Tra i primi sostenitori del giornale vi fu Gorbačëv che donò parte del premio Nobel per la pace attribuitogli nel 1990.

A cavallo tra il 1994 e il 1995 Muratov andò in Cecenia come corrispondente nella zona di guerra, per poi diventare, nello stesso ’95 direttore del giornale.

Il quotidiano ha attraversato periodi difficili dal punto di vista economico, per i conflitti con il potere politico ed economico russo, nonché a causa dell’uccisione di alcuni giornalisti, tra i quali Anna Politkovskaya.

Muratov si è impegnato in comitati, è stato tra coloro che hanno presentato domanda alla Corte Suprema della Federazione Russa per la cancellazione dei risultati delle elezioni del 2003 per la Duma, il parlamento russo.

Dal 2004 è membro del partito democratico Yabloko e nel 2011 si è candidato nella lista elettorale del partito.

Nel 2017 dopo tanti anni di faticosa direzione del giornale Muratov si è dimesso, per poi riprendere l’incarico due anni dopo.

È stato insignito di due onorificenze russe, l’Ordine d’onore e quello dell’Amicizia, «per i servizi nel campo della stampa, della cultura, del rafforzamento dell’amicizia e della cooperazione tra i popoli e per i molti anni di fruttuosa opera», nonché due straniere: Cavaliere dell’Ordine della Legion d’Onore in Francia e Cavaliere III Classe dell’Ordine della Croce della Terra Mariana in Estonia.

Il 7 ottobre del 2021 gli è stato attribuito il premio Nobel per la pace, insieme alla giornalista filippina naturalizzata statunitense Maria Ressa, cofondatrice del sito di notizie Rappler, che ha diffuso numerose inchieste sul governo del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte. È significativo che il giorno scelto dall’accademia svedese sia coinciso col quindicesimo anniversario dell’assassinio della giornalista di Novaja Gazeta Anna Politkovskaya.

Il giornale negli ultimi giorni di marzo 2022 ha deciso di sospendere le pubblicazioni in ragione della normativa promulgata dal governo russo sugli organi di stampa, come l’inasprimento del controllo sulla diffusione di presente informazioni “false”. Infatti, a seguito del secondo richiamo dei censori di Roskomnadzor, un orwelliano ministero della Verità che spaccia per vero il falso e bolla il vero come “fejk”, la testata ha deciso di interrompere la diffusione in Rete e su carta «fino alla fine dell’operazione speciale sul territorio dell’Ucraina», come Mosca impone di chiamarla. «Non c’è altro modo», ha scritto ai lettori lo stesso direttore «Per noi, e lo so per voi, questa è una decisione terribile e dolorosa. Ma dobbiamo proteggerci a vicenda». Il terzo avviso sarebbe costato la revoca definitiva della licenza. Il 7 aprile Muratov è stato vittima di un’aggressione sul treno che da Mosca lo stava portando a Samara: nello scompartimento nel quale viaggiava un individuo ha gettato un misto di vernice rossa e acetone. Il fatto è stato rivendicato da un sedicente gruppo di attivisti a sostegno della guerra in Ucraina, come gesto di dissenso nei confronti delle posizioni del giornalista sul conflitto.

Il commento

Del poco che si conosce su Dmitrij Muratov emerge la figura di una persona che desidera soprattutto operare bene nel suo lavoro e per questo è disposto ad affrontare problemi e difficoltà. Certamente quindi non difetta di coraggio, del coraggio di misurarsi quotidianamente, ad esempio, con le ristrettezze economi del giornale, oppure di affrontare tematiche scomode per chi detiene il potere nel suo paese, come il rapporto tra le autorità e i cittadini, la corruzione negli apparati statali, la criminalità, gli scandali finanziari. Ha avuto anche coraggio nell’opporsi immediatamente all’attacco militare in Ucraina, con le conseguenze già ricordate e la scelta di sospendere ogni forma di diffusione di Novaja Gazeta.

Il giornale da lui diretto è stato definito dall’Accademia svedese «il più indipendente in Russia, con un atteggiamento fondamentalmente critico nei confronti del potere» e «l’integrità professionale della testata» lo hanno reso «un’importante fonte di informazioni su aspetti censurabili della società russa raramente menzionati da altri media».

Il suo giornalismo si caratterizza per essere «basato sui fatti», indipendente, libero, critico, non succube dei poteri politico ed economico, contro la disinformazione, da qualunque parte arrivi; un giornalismo di qualità, fatto di eccellenti reportage, di cronaca realizzata da inviati sul posto; un giornalismo che produca un’informazione il più possibile completa e corretta.

Colleghi occidentali che lo hanno incontrato hanno scritto di una grande semplicità: nel modo di vestire, nell’ufficio, ben diverso da quello dei loro direttori, l’assenza di qualsiasi vezzo o status symbol tipici dei giornalisti.

Significativi sono stati due gesti legati al Nobel ricevuto. Nello scorso dicembre ha donato parte per premio in denaro ricevuto dall’Accademia svedese, circa 290 mila dollari, ad alcuni enti come un ospedale per malati terminali e un orfanotrofio; il 22 marzo, ancora, ha messo all’asta la medaglia del Nobel «al Fondo ucraino per l’aiuto ai rifugiati che sono già oltre 10 milioni».

L’esempio di Muratov e del giornale da lui diretto potrebbe essere di grande utilità nel nostro Paese, che vede spesso un’informazione poco «cane da guardia» della politica, per usare un’espressione anglosassone, più attenta a mostrare il proprio punto di vista, piuttosto che le notizie, attenta a non porre, soprattutto ai politici, domande scomode.

Le fonti

L’attribuzione del premio Nobel per la pace e, ultimamente, l’aggressione subita, hanno acceso i riflettori della stampa sul giornalista russo, per cui è possibile rintracciare sui vari mezzi di informazione notizie e video su di lui.

È anche interessante seguire la storia di Novaja Gazeta, il giornale da lui diretto e diventato simbolo dell’informazione indipendente in Russia. Un periodico da sempre avversato dal potere, sostenuto economicamente tramite donazioni, vendite di libri e gadget, in quanto il messaggio arrivato dal Cremlino alle aziende russe è stato di non acquistare pubblicità sulle sue pagine. Sin dalla sua nascita il giornale ha pubblicato articoli critici su argomenti che vanno dalla corruzione alla violenza della polizia, dagli arresti illegali alla frode elettorale, dalla diffusione di notizie false all’uso delle forze armate dentro e fuori la Russia. Come già ricordato il 28 marzo ha sospeso il lavoro pubblicando una dichiarazione dei redattori: «Abbiamo ricevuto un altro avviso da Roskomnadzor. Successivamente, sospendiamo la pubblicazione del giornale sul sito Web, nelle reti e sulla carta – fino alla fine dell’”operazione speciale sul territorio dell’Ucraina”.

Cordiali saluti, i redattori della Novaja Gazeta».

Roskomnadzor è l’ente statale russo che si occupa della supervisione delle telecomunicazioni e che ha ammonito, in due occasioni diverse, Novaja Gazeta per avere un presunto «agente straniero», cioè un sostegno internazionale anche minimo, senza però porlo in evidenza così come previsto da una legge promulgata nel 2020. Secondo il Roskomnadzor invece, questo non sarebbe avvenuto nonostante i due richiami scritti trasmessi alla redazione del periodico d’opposizione che un mese prima, in seguito alla legge approvata dalla Duma che punisce chiunque parli di «guerra» e non di «operazione militare speciale» in Ucraina, aveva smesso di scrivere del conflitto.

La chiusura del giornale priva la Russia dell’ultima fonte di informazioni indipendente, dopo che altre importanti testate sono state costrette a scegliere la stessa strada, come radio Eco di Mosca, nata durante la glasnost, il periodo di apertura voluto da Gorbačëv, e l’emittente televisiva privata Dožd, la cui esistenza era un miracolo in un universo controllato dal potere. Un sito indipendente come Meduza, che stava cominciando ad avere una certa importanza, ha dovuto mandare la redazione in Lettonia, mentre il sito economico VTimes è stato costretto a chiudere nel 2021.

Negli ultimi anni la morsa di contrasto all’informazione indipendente si è stretta sempre di più, in particolare dopo l’approvazione della legge sugli «agenti stranieri»; l’invasione dell’Ucraina ha dato il colpo di grazia ai mezzi d’informazione indipendenti, perché ora per Putin la posta in gioco nell’informazione è enorme e non può accettare che si rompa il monopolio di quella statale.

A dicembre, in occasione della cerimonia del Nobel, Muratov aveva lanciato un allarme premonitore: «Gli ideologi di oggi promuovono l’idea della morte per la patria e non della vita per la patria. Non lasciamo che la loro televisione ci inganni ancora. La guerra ibrida distrugge i rapporti tra la Russia e l’Ucraina, e non so se le prossime generazioni riusciranno a ripristinarli. Inoltre, nella mente malata dei geopolitici, la guerra tra Russia e Ucraina ha smesso di sembrare impossibile».

In merito alla situazione dell’informazione in Russia ha dichiarato: «La propaganda è come le radiazioni. Non è possibile stare vicini a Chernobyl e non rimanere contaminati. Non si può vivere in Russia e sfuggire alla propaganda». Poi ha aggiunto: «in Russia, quando si fanno sondaggi telefonici e si chiede: “Lei, Signore/Signora, appoggia la decisione di Vladimir Putin di condurre un’operazione militare speciale in Ucraina?”, non molti decidono di dire “no”. Perché ognuno sa bene che, visto che chi lo chiede conosce il tuo numero di telefono, probabilmente conosce anche il tuo indirizzo. La gente ha paura. C’è ancora un altro gruppo, ovvero coloro che si fidano della propaganda».

Sulla normativa vigente in materia si è espresso in questo modo: «Questa legge permette alle autorità di mettere in prigione ognuno dei nostri collaboratori. In un paese in cui non esistono tribunali liberi, questa norma uccide i media indipendenti. Le autorità possono asserire che nessuna notizia che non vogliono rivelare sia vera. Non importa che l’abbiamo ottenuta da più fonti, che l’abbiamo verificata o che ne abbiamo addirittura una registrazione».

Su chi gestisce la censura ha detto: «L’amministrazione del presidente Putin. È quella che diffida così tanto dei russi da decidere oggi per loro ciò che possono leggere. Cosa sono i media nel nostro mondo? In un paese dove il parlamento non rappresenta gli interessi del popolo? In Russia, gli interessi del popolo, dei lettori, sono rappresentati dai media indipendenti. Ecco perché le autorità li stanno chiudendo».