Viktor Orbán: la democrazia tra parentesi

Il fatto

Il 30 marzo con 137 voti a favore 53 contrari e nessun astenuto l’Országház, il parlamento ungherese, ha approvato una legge che autorizza l’esecutivo guidato dal primo ministro Orbán a governare, ai sensi dello stato d’emergenza, attraverso decreti, senza alcuna supervisione, senza una precisa data di chiusura e senza revisioni periodiche.  Il premier può quindi decidere da solo per quanto a lungo vorrà, chiudere il Parlamento stesso senza limiti di tempo, cambiare come vuole o sospendere leggi in vigore e rinviare, cancellare o vietare ogni elezione; solo al capo del governo spetterà poi stabilire quando tale stato di emergenza avrà termine.

La normativa ha anche introdotto due nuovi reati: chiunque diffonda informazioni false o distorte che interferiscano con «l’efficace protezione» della popolazione o crei «allarme e agitazione», oppure ostacoli l’esecuzione di ordini di quarantena o di isolamento, potrà subire una condanna fino a cinque anni di carcere, se il mancato rispetto sarà causa di morte la pena potrà arrivare a otto anni. Tutto ciò appare contrario alle norme e agli standard del diritto internazionale dei diritti umani e pone dei serissimi problemi in merito al rispetto dei valori fondanti l’Unione europea, della quale l’Ungheria è ancora un membro, contenuti nell’articolo 2 del Trattato dell’UE, che recita: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». Una situazione contraria, vale a dire «un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2», comporterebbe l’attivazione di quanto contenuto nel successivo articolo 7 in merito alla constatazione di tali violazioni, che se evidenziata e confermata potrebbe comportare la sospensione di «alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio».

Una democrazia in crisi

Il passo del premier ungherese non è che l’ennesimo calcio dato alla democrazia nel suo Paese, e in Europa, dopo un percorso fatto di arretramento dei diritti umani, lotta a chi critica la sua politica, guerra contro i migranti, attacchi alle organizzazioni quali Amnesty International e Human Rights Watch, vietando ad esempio la diffusione dei loro comunicati, bavagli alla stampa indipendente, minacce all’autonomia della magistratura, tanto per citare le problematiche più famose.

Il Democracy Index del 2019 colloca l’Ungheria al 55° posto, alla pari con il Ghana, con il punteggio di 6,63 su 10; l’Italia ha un punto in più, mentre le prime della classe superano il 9. Nel dettaglio la valutazione è composta da un 8,75 alla voce pluralismo e processo elettorale, 6,07 al funzionamento del governo, 5 alla partecipazione politica, 6,25 alla cultura politica e 7,06 alle libertà civili. Probabilmente i prossimi giudizi saranno più severi, soprattutto alla prima voce.

Spiace che questo percorso, iniziato un decennio fa, che ha portato a una democrazia sostanzialmente autoritaria e illiberale, a un regime populista, abbia trovato l’Unione europea non così attenta e preoccupata, incapace di incidere sulla deriva presa dal Paese.

Tornando ai fatti di questo periodo, l’emergenza sanitaria è stata il pretesto per un’operazione che va al di là della lotta al Covid-19, basti ricordare che a fine marzo i dati ufficiali sul coronavirus in Ungheria parlavano di 447 contagiati e 15 vittime, anche se probabilmente tali numeri andrebbero presi con grande prudenza (qualcuno dice moltiplicati per 10 se non per 15). Orbán ha approfittato della situazione per una svolta nelle modalità di governo, potendo agire per decreto e senza limiti. Il Parlamento, per contro, perde le sue funzioni di indirizzo politico, legislative, di dibattito e di controllo, compiti che il capo del governo ha sempre dimostrato di gradire poco e che ora ha avuto la possibilità di eliminare. A tale proposito c’è da ricordare che il partito del primo ministro avrebbe avuto comunque una maggioranza tale da non temere alcun pericolo nell’approvazione delle proposte del governo, come dimostrato dall’esito della votazione sopra citata.

Le reazioni

Alcuni osservatori hanno fatto notare poi che ciò può permettere al premier di nascondere la crisi del sistema sanitario, da lui stesso provocata, e presentarsi come l’uomo forte capace di affrontarla.

L’opposizione non ha usato mezze parole. Il leader dei socialisti ungheresi Toth ha affermato che «oggi inizia la dittatura senza maschera di Orban» e il presidente del partito nazionalista Jobbik ha parlato di «colpo di Stato», sostenendo che la situazione attuale non giustifica affatto lo stato di emergenza così come si configura nella legge.

Le forze di minoranza, ma anche gli osservatori dell’Unione europea, dalla quale l’Ungheria ottiene aiuti vitali per la crescita economica nonostante le ripetute critiche e condanne per l’autocrazia, hanno affermato che la legge d’emergenza, col pretesto della «priorità assoluta alla salute pubblica e all’imperativo di fermare la diffusione del coronavirus», in realtà è soprattutto uno strumento per consolidare a tempo indeterminato il potere sovranista, già supportato da leggi che dirigono media e magistratura e dai ferrei legami tra Orbán e gli oligarchi che controllano le 400 maggiori aziende nazionali e, attraverso una fondazione, la maggioranza dei mezzi d’informazione.

Numerose organizzazioni per la difesa della libertà di stampa e di parola hanno lanciato un appello all’UE nel quale chiedono di opporsi ai poteri assoluti attribuiti a Orbán. Il direttore di Amnesty International Ungheria David Vig ha dichiarato: «Abbiamo bisogno di forti salvaguardie per garantire che le misure per restringere i diritti umani adottate sotto lo stato d’emergenza siano strettamente necessarie e proporzionali, per proteggere la salute pubblica. Questa nuova legge concede poteri illimitati al governo per governare per decreto oltre la pandemia, […] negli anni in cui Orban è stato premier si è assistito a una retrocessione dei diritti umani in Ungheria, aumentando l’ostilità verso i gruppi marginalizzati e tentando di zittire le voci critiche. Permettere al governo di governare per decreto probabilmente aumenterà questa retrocessione».

L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha espresso la sua più allarmata preoccupazione per la svolta di Budapest, il Consiglio d’Europa ha ammonito che «uno Stato d’emergenza illimitato e incondizionato non può garantire il rispetto di regole e valori della democrazia». In un messaggio su Twitter il commissario europeo per la Giustizia e lo Stato di diritto Didier Reynders ha precisato: «La Commissione europea sta valutando le misure di emergenza adottate dagli Stati membri in relazione ai diritti fondamentali. In particolare per il caso della legge votata in Ungheria sullo stato d’emergenza e le nuove sanzioni penali per la diffusione di informazioni false». La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato: «È della massima importanza che le misure di emergenza non vadano a scapito dei nostri valori fondamentali. La democrazia non può funzionare senza media liberi. Rispetto della libertà di espressione e certezza del diritto sono essenziali. […] Eventuali misure devono essere limitate al necessario, proporzionate e soggette a controllo. La Commissione europea seguirà da vicino la loro applicazione». Il portavoce della Commissione, Eric Mamer, ha aggiunto: «L’UE analizzerà la legge e monitorerà da vicino la sua applicazione da parte del governo, inclusa l’applicazione delle norme che criminalizzano le notizie false. In questi tempi incerti, la certezza legale e la libertà di espressione devono essere garantiti». Il presidente dei Popolari europei nel Parlamento UE, Donald Tusk, si è limitato a sottolineare: «Orbán è un amico, ma non condivido i valori che rappresenta».

La vicenda ungherese ha suscitato reazioni anche in Italia. Il Partito Democratico e Italia Viva hanno condannato le misure adottate in Ungheria, chiedendo un intervento immediato da parte delle istituzioni europee; dall’altro, i sovranisti di Lega e Fratelli d’Italia hanno manifestato il loro pieno supporto ad Orbán, con un personale augurio via Twitter da parte di Matteo Salvini.

La risposta del regime non si è fatta attendere. Orbán ha affermato che «l’opposizione sta dalla parte del virus», mentre la ministra della Giustizia, Judit Várga, dirigente del Fidesz, il partito del capo del governo, e vicinissima al premier ha sostenuto che «le decisioni al contrario sono pienamente in regola e del tutto conformi con l’ordinamento costituzionale e legale ungherese».

Va ricordato, poi, che il 2 aprile la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca sono venute meno agli obblighi previsti dal diritto dell’UE, in quanto giudicate inadempienti rispetto a una decisione approvata dal Consiglio europeo nel 2015 sulla ricollocazione, obbligatoria, dalla Grecia e dall’Italia verso gli altri Stati membri, di 120.000 richiedenti protezione internazionale.

 

 

 

Il commento

Trieste dista poco più di 300 chilometri dal confine ungherese; Milano è più lontana. Dunque, a poca distanza da noi, geograficamente parlando, ma anche politicamente data la comune adesione all’UE, sono avvenute delle trasformazioni nell’assetto democratico di rilevante importanza.

Una colpevole indifferenza

Possiamo permettere tutto ciò? Dall’atteggiamento tenuto dai partner europei negli ultimi dieci anni, da quando cioè Orbán è capo del governo magiaro, la risposta è affermativa; se poi osserviamo le reazioni politiche e degli organi di stampa dopo i recenti avvenimenti la situazione è sconfortante. Come abbiamo visto al di là di dichiarazioni di “maniera” niente è stato fatto e i media, e l’opinione pubblica, hanno presto dimenticato quanto accaduto a Budapest.

Certamente il tempo presente, con la crisi sanitaria in atto, non è il momento più opportuno per combattere gli autoritarismi, il Parlamento europeo, in particolare il gruppo Ppe, e la Commissione hanno avuto dieci anni per farlo, ma sono rimasti indifferenti. E così adesso il regime populista di Orbán è saldo, è stato sostenuto dai fondi comunitari, è pronto probabilmente per ulteriori derive.

Il rischio ulteriore è che in altre parti dell’Europa centrale e orientale, e forse non solo, vi sia la minaccia l’ordine illiberale si consolidi in una misura difficile da prevedere, che anche nei loro confini chiusi, i leader antidemocratici possano ispirarsi a vicenda, cambiando il volto dell’UE, se non si interviene tempestivamente ed efficacemente.

Cosa serve una Comunità di stati così ampia se la quantità va a scapito della qualità? Cosa serve accettare un pluralismo di regimi non allineati con i valori di fondo dell’essere insieme?

Un obiettivo preciso: la democrazia illiberale

Il disegno di Orbán è chiaro ed è stato più volte riproposto in questi anni, con dichiarazioni e con i fatti, per cui l’UE ha avuto più di un’occasione per rendersi conto della deriva verso la quale stava andando uno stato della Comunità.

Egli auspica e persegue la morte del modello democratico occidentale, sottolineando che i regimi autoritari come quelli di Russia, Cina e Turchia sono il futuro, vale a dire uno stato che abbandona i metodi e i princìpi della democrazia liberale nell’organizzazione della società per costruire un regime volutamente illiberale. Il leader ungherese non si limita alle parole. Da quando è alla guida del Paese, dal 2010, ha potuto godere, come abbiamo visto, di un’ampia maggioranza, che gli ha permesso di modificare la costituzione a suo piacimento. In teoria la Corte suprema di Budapest potrebbe annullare i cambiamenti, ma il governo ha nominato undici dei quindici giudici. Inoltre le nuove leggi sui mezzi d’informazione hanno trasformato la tv pubblica in un megafono di chi detiene il potere; e, per quanto riguarda le elezioni, Orbán ha sfacciatamente ridisegnato i collegi per assicurare la vittoria a Fidesz, il suo partito.

Le ragioni del successo

Come si spiega l’affermazione di Orbán? Alle elezioni legislative ha sempre ottenuto, a partire dal 2010, i due terzi dei parlamentari, confermando il successo anche alle europee e alle amministrative. In realtà il consenso non è così forte. Alle ultime legislative solo 2,1 milioni di persone hanno votato Fidesz, mentre 2,6 milioni di elettori hanno dato la preferenza per gli altri partiti. L’opposizione, però, è debole e frammentata, fatta eccezione per il movimento neofascista Jobbik che ha il 14% dei voti. Il partito del leader vince grazie alle citate modifiche ai distretti elettorali e all’assenza di alternative credibili. Al capo del governo ovviamente va bene così: può continuare a godersi il suo ruolo di uomo forte illiberale, ma eletto democraticamente.

Il primo ministro ungherese è un abile demagogo, e gli ungheresi si sono dimostrati attratti dal fascino degli agitatori nazionalisti; tuttavia non può essere sicuro del suo potere fino a quando sopravvivrà il sistema democratico, seppure indebolito, perché una forte oscillazione dell’opinione pubblica potrebbe rovesciarlo a prescindere dalle sue manovre. Ecco spiegati gli ultimi fatti.

Che fare?

Come reagire? In primo luogo vigilando che da noi non si sviluppino percorsi simili, sapendo discernere tra le forze politiche quelle autenticamente e profondamente democratiche. Avendo sempre come riferimento la Costituzione, conoscendola e cogliendo i principi di fondo. Difendendo sempre la libertà di espressione e di informazione, rispettando le opinioni di tutti.

È fondamentale pensare che la democrazia è un processo da rinnovare e potenziare continuamente, una sfida da accettare ogni giorno, a partire dalle idee, da comportamenti, dalle azioni di ciascuno. Il sistema democratico è da considerare e difendere nella sostanza: il voto del parlamento di Budapest è formalmente legittimo, ma intrinsecamente scorretto. La democrazia non prevede uomini soli al comando, al contrario è sinonimo di dialettica, confronto, collaborazione e responsabilità condivise; quella prospettiva diversa è una soluzione falsa, una semplificazione che non risolve i problemi, li complica, perché ne provoca di peggiori. Va costruita col contributo di tutti, non con le scelte di pochi o di un solo individuo: quando ciò è accaduto, anche nel recente passato e in alcune situazioni nel presente, sono stati guai per tutti.

Serve una riflessione sul potere, che non può essere concentrato su qualcuno con “pieni poteri”, ma è opportuno, saggio e proficuo, sia suddiviso, come peraltro prevede la Costituzione.

È importante ragionare poi sui diritti, consci che non si può rinunciare a uno di essi senza minare l’intero edificio.

Va auspicata una decisa risposta dell’UE, in primo luogo per il popolo ungherese, perché agisca con tutti gli strumenti politici a disposizione allo scopo di ripristinare le condizioni di uno stato di diritto il più possibile compiuto. L’Europa deve far tornare indietro Orbán: non è possibile accettare un regime autoritario nell’Unione. La coesione deve essere solidale e non guidata dai sovranismi.

L’Italia deve agire: è stato convocato l’ambasciatore ungherese per esprimere l’indignazione del Paese? Stiamo facendo pressione per una decisa azione dell’UE? Perché i mezzi informazione hanno smesso di affrontare l’argomento?

Insomma, non possiamo girarci dall’altra parte e fare finta di niente, anche nelle difficoltà di questo periodo, utilizzando la rete in modo intelligente. L’occasione per agire potrebbe essere il 3 maggio, Giornata internazionale per la libertà di informazione, per una forma di protesta visibile, seppure con i limiti imposti dalle misure di contrasto del Covid-19.

 

 

 

Le fonti

Sugli organi di stampa il tema è stato affrontato nei gironi a ridosso della votazione del Parlamento ungherese, per poi affievolirsi l’attenzione, travolti dall’emergenza Covid-19.

Su Wikipedia è presente un’ampia voce dedicata al capo del governo magiaro e alla sua vita; l’Enciclopedia Treccani offre una sintetica biografia.

Sul sito Internazionale è a disposizione un interessante articolo sulla parabola di Orbán.

Wired ha pubblicato un servizio intitolato «Non solo Orbán: chi altro nel mondo cerca i “pieni poteri” contro il coronavirus».

Prima abbiamo citato l’articolo 7 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ecco il testo:

«1.   Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.

Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.

  1. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
  2. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.

Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.

  1. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.
  2. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.»

 

Riportiamo infine alcune dichiarazioni del capo del governo ungherese.

«L’Ungheria sta costruendo uno stato illiberale, uno stato non liberale. Non rifiuta i princìpi fondamentali del liberalismo, come la libertà, ma non considera questa ideologia come l’elemento centrale dell’organizzazione dello stato, scegliendo invece un approccio diverso, di tipo nazionale».

«Il rapporto fra individuo e comunità nazionale è stato ridefinito in Ungheria, la nazione sovrana è più importante della libertà individuale».

«Dobbiamo abbandonare i metodi e i princìpi liberali nell’organizzazione di una società. […] Stiamo costruendo uno stato volutamente illiberale, uno stato non liberale perché i valori liberali dell’occidente oggi includono la corruzione, il sesso e la violenza».

«Il regime illiberale, in Ungheria, è compiuto. Il nostro obiettivo, nei prossimi 15 anni, è lottare contro il liberalismo nel resto d’Europa».

«Solo perché uno stato non è liberale, può comunque essere una democrazia. E infatti abbiamo anche dovuto dichiarare che le società che si fondano sul principio dell’organizzazione statale della democrazia liberale saranno probabilmente incapaci di mantenere la loro competitività globale nei prossimi decenni e saranno invece probabilmente ridimensionate a meno che non siano in grado di cambiare se stesse in modo significativo».

«Dichiariamo con fiducia che la democrazia cristiana non è liberale. La democrazia liberale è liberale, mentre la democrazia cristiana non è, per definizione, non liberale: è, se vuoi, illiberale. E possiamo dirlo specificamente in relazione ad alcune importanti questioni – diciamo, tre grandi questioni. La democrazia liberale è a favore del multiculturalismo, mentre la democrazia cristiana dà priorità alla cultura cristiana; questo è un concetto illiberale. La democrazia liberale è pro-immigrazione, mentre la democrazia cristiana è anti-immigrazione; questo è di nuovo un concetto veramente illiberale. E la democrazia liberale si schiera con modelli familiari adattabili, mentre la democrazia cristiana poggia sulle basi del modello familiare cristiano; ancora una volta, questo è un concetto illiberale».

«Non abbiamo bisogno di una politica comune europea sui migranti, e non abbiamo bisogno di un’agenzia comune europea per i migranti, perché porteranno soltanto caos, difficoltà e sofferenza».

«Il dovere primario delle autorità pubbliche è sempre stato di fornire sicurezza alla propria comunità e proteggere le frontiere».

«Non esiste identità culturale in una popolazione senza una composizione etnica stabile. L’alterazione della composizione etnica di un paese equivale a un’alterazione della sua identità culturale».

«Nei prossimi decenni la domanda principale in Europa sarà questa: l’Europa rimarrà il continente degli europei? L’Ungheria rimarrà il paese degli ungheresi? La Germania rimarrà il paese dei tedeschi? La Francia rimarrà il paese dei francesi? O l’Italia rimarrà il paese degli italiani? Chi vivrà in Europa?».

«Sembra che l’Europa occidentale e l’Europa centrale abbiano scelto due strade divergenti. […] E per quanto possa sembrare assurdo la minaccia più pericolosa per l’Ungheria oggi arriva dall’occidente. Questa minaccia è rappresentata dai politici di Bruxelles, Berlino e Parigi. Vogliono farci adottare le loro politiche, quelle politiche che hanno trasformato i loro paesi in paesi di immigrazione e che hanno aperto la strada al declino della cultura cristiana e all’espansione dell’islam. Vogliono farci accettare gli immigrati e trasformarci in un paese con una popolazione mista».

«Siamo per la formazione di un consenso in Europa circa il fatto che la reintroduzione della pena di morte sia competenza nazionale. […] Io sono per la vita, ma sono pronto ad accettare la pena di morte, se la maggioranza della gente pensa che questa rappresenti una difesa più efficace contro il dilagare della criminalità».

Da un messaggio al leader della Lega Salvini: «Indipendentemente dai futuri sviluppi della politica interna italiana e dal fatto che apparteniamo a gruppi parlamentari europei diversi, la consideriamo come un compagno di battaglia nella nostra lotta per fermare l’immigrazione e per preservare il patrimonio cristiano europeo».