Le elezioni europee: come votiamo

I dati

La tornata elettorale delle elezioni europee, e di alcune amministrazioni locali, ha nuovamente delineato la geografia politica italiana. Non che ci si trovi di fronte a un cambiamento radicale, ma certamente gli elementi di novità sono da analizzare; così come le motivazioni che hanno spinto i cittadini a modificare le proprie scelte solo a un anno di distanza.

Iniziamo con i risultati. La Lega emerge come il primo partito con il 34,3%, il PD è il secondo con il 22,7%, il Movimento 5 stelle è la terza forza con il 17,1%, seguono Forza Italia (8,8%), Fratelli d’Italia (6,5%), + Europa (3,1%), Europa verde (2,3%), La Sinistra (1,7%), e le altre formazioni che raccolgono complessivamente il 3,5%.

Queste le espressioni di voto, ma è da porre in particolare evidenza il dato sull’astensionismo, che sale al 43,7% (con un aumento di un milione di cittadini rispetto alle europee del 2014), con punte dell’oltre il 60% in regioni come la Sicilia e la Sardegna.

L’analisi

Esaminando il voto, prendendo spunto dalle analisi di SWG e del sito YouTrend, anche in rapporto alle precedenti tornate elettorali, emergono alcuni elementi significativi.

Ecco l’andamento dei consensi tra le due elezioni europee e le politiche del 2018.

I flussi tra i principali partiti mostrano lo spostamento delle preferenze e la conquista di parte degli astenuti.

In sintesi, per quanto riguarda la Lega oltre la metà dei voti proviene da uno “zoccolo duro”, ma il resto arriva da chi aveva votato diversamente: il 17% dal M5s, il 14% dagli astenuti e il 10% da FI. Il PD recupera qualcosa dai 5 stelle, dalla sinistra e un 10% dagli astenuti. In totale si sono spostati, dalle politiche del 2018, oltre sei milioni di voti verso la Lega, tre milioni hanno abbandonato il M5s e due milioni Forza Italia.

Il voto delle persone nate tra il 1980 e il 1996 vede un travaso di voti da M5s a Lega e Pd: il M5s perde il 15%, la Lega guadagna l’11% e il Pd il 6%. Nei nati dopo il 1997 il M5s perde il 25% dei consensi, la Lega intasca il 21% e il Pd il 9%. Per quanto concerne il voto femminile si osserva un aumento dei consensi alla Lega del 17% e una perdita del 14% dei 5 stelle.

Considerando le fasce di reddito emergono dati interessanti: nelle fasce più deboli economicamente: la Lega cresce del 18% mentre il M5s perde il 17%, il PD recupera 9 punti, ma rimane con un sostegno decisamente limitato.

La Lega incrementa i consensi tra gli operai rispetto al 2018 con una considerevole crescita del 29% mentre M5s perde il 20%. Anche i liberi professionisti appaiono delusi dal M5s (-13%), mentre lievita il consenso per la Lega che guadagna il 12%; sale anche il supporto a FdI (+6%) e al Pd (+3%).

Il risultato della Lega è positivo sia a Nord sia a Sud. Nel Nord Ovest passa dal 25,7% al 40,7% e al Nord Est dal 25,5% al 41,7%. Nel Centro raddoppia, salendo dal 15.6% al 33,5% e addirittura quadruplica i consensi al Sud e nelle Isole passando rispettivamente dal 6,2% e 6,6% al 23,5% e 22,4%. La crescita è speculare con la perdita di voti dal M5s che al Sud, dopo il successo di 12 mesi fa, subisce un tracollo: dal 46% al 29,2%. Il PD invece cresce solo al Nord Est guadagnando 22mila preferenze.

La Lega risulta il partito più votato in circa il 75% dei comuni italiani, come si può vedere dalla figura seguente.

Significativo si dimostra un ulteriore elemento: la relazione tra espressione di voto e dimensione del comune di appartenenza. In generale si assiste a un dualismo nella geografia elettorale italiana: più che fra Nord e Sud, il divario sembra essere tra la minoranza che vive all’interno dei centri metropolitani e la maggioranza che risiede all’esterno. In sostanza vi sono circa 10 punti percentuali di distanza tra città e provincia.

Il PD è riuscito a primeggiare a Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, nei restanti quattro grandi centri gli elettori hanno premiato il M5s (Napoli, Palermo, Catania, Bari). In nessuno di questi la Lega si è collocata al primo posto. A Torino, ad esempio, il PD ha raccolto il 33,47% dei consensi contro il 27,35% guadagnato nella provincia.

Le ragioni possono essere ricercate nel fatto che nelle aree periferiche abitano persone con più difficoltà economiche, che hanno subito maggiormente la crisi e tendono a votare per forze di rottura contro il “sistema” e i partiti sentiti come tradizionali. Questo può valere soprattutto nel Sud, ma appare strano per le aree dove i redditi medi si collocano su valori superiori alla media nazionale, come nel Nord-ovest, dove la Lega arriva addirittura oltre il 60%. Forse contano le promesse di misure fiscali favorevoli a piccoli imprenditori, artigiani e liberi professionisti. Può contare, inoltre, la scelta di appoggiare un partito che spinge alla chiusura verso l’esterno e alla difesa dello status quo, che sbandiera l’emergenza migratoria e i pericoli alla sicurezza (smentiti entrambi dai dati relativi alle due problematiche) come rischi al benessere economico. C’è da aggiungere che il fenomeno non è esclusivamente italiano.

La figura seguente sintetizza le differenze di voto in base alle dimensioni del comune.

Il commento

Andando oltre l’analisi quantitativa del voto possono essere fatte alcune considerazioni generali.

Il Paese ha virato a destra: nel suo insieme le compagini politiche che là si collocano toccano quasi il 50% dei consensi. Rispetto al resto dell’Europa l’avanzata di una destra soprattutto populista è più notevole in Italia, se comparata alla sostanziale tenuta delle forze europeiste nel resto del Continente, salvo alcune eccezioni come ad esempio l’Ungheria.

Un’ulteriore caratteristica nostrana è l’affluenza al voto, in diminuzione come abbiamo visto, in controtendenza con un generalizzato incremento dei votanti negli altri Paesi. Ciò è stato provocato anche dall’astensione di una consistente parte di elettori del M5s che, soprattutto nelle regioni meridionali, hanno manifestato la loro delusione non partecipando alla consultazione.

Lo spostamento dei consensi e la manifestazione del dissenso con l’astensione dimostrano l’accorciamento sempre più evidente dei cicli elettorali e la volatilità delle preferenze: la luna di miele con gli elettori può durare meno di 12 mesi.

Il voto ha certificato in modo incontestabile l’attuale primato della Lega, la sua centralità nello scenario politico italiano e la sua dimensione di partito nazionale; così come ha mostrato il deludente risultato del M5s. Certo era difficile replicare il successo del 2018, ma il dimezzamento dei consensi e il contemporaneo raddoppio delle percentuali della Lega sono dati pesanti, come pure la collocazione come terza forza dopo anche il PD: il 17% è il peggior risultato ottenuto dal Movimento dal suo debutto nel 2013. Per contro il M5s è ancora il primo partito in tutte le regioni del Sud e in Sicilia, e raggiunge risultati considerevoli in alcune città importanti come Napoli (circa il 40%).

Il risultato del PD inverte una tendenza al ribasso, ma probabilmente il sorpasso ai danni del M5s è dovuto più al cattivo risultato del Movimento che a meriti propri. I dati positivi vengono, come già osservato, soprattutto dalle città, ma in compenso il partito è la prima forza solo più in Toscana e continua l’insuccesso nelle zone periferiche dei grandi centri e nella provincia; infine non è più il primo partito come cinque anni fa.

Forza Italia, con l’8,8%, ottiene un risultato inferiore alle aspettative, in quanto l’obiettivo dichiarato era di superare il 10%; mentre, sempre nel centrodestra è certamente positivo il 6,5% di Fratelli d’Italia, poiché pur restando il terzo partito dell’area politica raddoppia comunque il risultato delle precedenti Europee e migliora quello, già buono (4,3%) delle Politiche 2018.

La sinistra ha perso l’ennesima occasione di proporre un’offerta politica unitaria per evitare di disperdere i consensi, soprattutto in un’elezione come quella per il Parlamento europeo, nella quale sembrerebbe più semplice proporsi in modo più organico.

Nei flussi di voto vi è la conferma dell’importanza di mobilitare in primo luogo il proprio elettorato: Lega, PD e FdI, i tre partiti che hanno guadagnato rispetto a un anno fa, hanno fatto registrare un tasso di fedeltà intorno all’80-90% di chi li ha scelti nel 2018; al contrario, i partiti più penalizzati, M5s e Forza Italia, sono stati sotto il 50%.

In proiezione futura, sullo scenario nazionale, una coalizione di centrodestra potrebbe essere in grado di aggiudicarsi la maggioranza assoluta dei seggi, con un 40% proveniente dalle forze nazionaliste e sovraniste, come la Lega e FdI, col contributo determinante di Forza Italia, che si pone però su un terreno diverso.

Osservando il risultato complessivo, l’Europa appare politicamente più eterogenea e difficile da gestire: le forze populiste sono cresciute, ma non abbastanza da ribaltare i rapporti di forza, e il fronte europeista ha tenuto bene, grazie anche a un’importante avanzata delle compagini ambientaliste in molti Paesi. Si sono però indeboliti i governi di Germania e Francia, tradizionali nazioni al traino dell’UE.

La riflessione

Infine, desideriamo proporre alcune considerazioni di carattere generale.

Come ricordato sopra, le prospettive nazionaliste e sovraniste non dovrebbero prendere la guida dell’UE, ma un messaggio allarmante è stato lanciato. Si tratta ora di raccoglierlo. Gli europei hanno manifestato complessivamente la volontà di proseguire in un percorso comune, ma le modalità del viaggio devono cambiare, pena lo sfaldamento dell’unione.

Si deve andare verso un’Europa più forte, in grado di affrontare le sfide del futuro e delle grandi potenze economiche di oggi, Stati Uniti e Cina, e di quelle che stanno prepotentemente emergendo, come India e Brasile ad esempio; nonché della Russia, con la sua strategia di guidare un maxi-continente dall’Atlantico al Pacifico. L’UE per fare questo deve cambiare, con una maggiore coesione dei popoli, politiche comuni più ampie, maggiore democrazia.

Passando a considerazioni nostrane, è da segnalare che il primo “partito”, come in altre circostanze, è quello degli astenuti. Le motivazioni possono essere le più diverse, ma un dato importante è l’enorme numero di persone che non si sentono rappresentate dalle attuali forze politiche.

Un altro elemento è legato ai differenti approcci al voto. Abbiamo appena considerato l’importanza dello “zoccolo duro” dei partiti, che può rafforzarsi con una capillare presenza sul territorio, con un’attiva vicinanza ai problemi della gente. Dall’altra parte si trova l’estrema volatilità delle scelte di un’altra parte dell’elettorato: ormai l’appartenenza è praticamente scomparsa, sostituita da valutazioni legate al momento, alle contingenze e, forse, dai livelli più bassi di propaganda politica. Chi studia questi fenomeni, infatti, pone in risalto come il voto sia più determinato dal “sentire”, dalle percezioni più superficiali, che da una scelta dettata da un impegno nell’informarsi, nel documentarsi, nel valutare contenuti e promesse elettorali: si potrebbe dire, banalizzando, che si vota più con la “pancia” piuttosto che con la “testa” o il “cuore”.

Alcune responsabilità sono da attribuire agli stessi partiti e alle attuali modalità di comunicazione, basate su rapidi slogan, facili dichiarazioni e poco approfondimento. Si sente sempre affermare un risultato da raggiungere o un problema da affrontare, ma raramente segue una proposta su come arrivarci. Espressioni come “creiamo lavoro”, “Torino può fare di più”, “cambiamo passo” sono sterili se non si continua spiegando in che modo, con quali interventi, in quale direzione. La gran parte degli elettori sembra limitarsi a recepire questi messaggi senza andare oltre, votando in ragione di tali superficiali sollecitazioni.

Questa deriva è anche il prodotto di una campagna elettorale permanente, che non consente di affrontare con prospettive di medio e lungo periodo i gravi problemi presenti. Solo con obiettivi traguardati con scadenze ampie, solo con progettualità articolate e interventi strutturali si può tentare di aggredire i nodi più significativi, quali la disoccupazione, il debito pubblico, un’efficace politica industriale al passo coi tempi e con la sostenibilità sociale e ambientale.

Per fare ciò è necessario che le elettrici e gli elettori, tutti noi, cresciamo nella voglia di informarci, di ragionale, di essere critici e propositivi, di sentirci responsabili e, magari, di impegnarci in prima persona per cambiare in meglio queste modalità di fare politica.

Di seguito riportiamo alcune analisi pubblicate nei giorni successivi alle elezioni: